Oggi ci cimentiamo in un’impresa che farà storcere il naso ai puristi e sorridere gli sperimentatori: portare sulla chitarra l’iconico assolo di organo di Burn dei Deep Purple. Sì, proprio quello che Jon Lord suonava con il suo Hammond, suonando tra distorsioni e Leslie rotanti come un forsennato.
Non è una passeggiata, ma promette di essere tremendamente divertente!
Perché è così diverso (e proprio per questo necessario)
Le frasi di Jon Lord corrono velocissime, dense di frammenti scalari che si rincorrono e di passaggi che sulla carta non hanno nulla di “chitarristico”. Ed è esattamente questo il punto: ti costringono a ragionare fuori dagli schemi, a guardare il manico con occhi nuovi, quasi fosse la tastiera di un organo.
Niente bending emotivi, niente vibrato esagerato. Qui conta come suoni ogni singola nota: l’attacco della pennata, la pulizia dell’articolazione, il modo in cui colleghi una frase all’altra senza sbavature. È chirurgia delle dita, roba da sala operatoria rock.
A tratti ti sembrerà quasi di suonare Bach – quella precisione barocca, quelle scale che scendono e risalgono con geometrie perfette – ma a volume 10 e con la saturazione al massimo. Un contrasto affascinante, quasi surreale.
La sfida tecnica (e quel tocco di sweep nel finale)
Questo assolo è un campo di addestramento per la precisione. Ogni nota dev’essere lì, al suo posto, cristallina. Non puoi nasconderti dietro effetti o smorzare le imperfezioni con un bel vibrato: o suona o non suona.
Nel finale, poi, c’è un piccolo regalo avvelenato: un accenno di sweep picking. Giusto per non farci annoiare e per aggiungere un altro tassello alla cassetta degli attrezzi. Non è niente di estremo, ma va affrontato con la giusta mentalità: movimento economico, precisione millimetrica, zero tensione.
Rubare all’organo per crescere come chitarristi
Portare questo assolo dalla tastiera dell’Hammond alle sei corde è come aprire una porta su un altro mondo musicale. Ti allena le mani, certo, ma soprattutto allena l’orecchio e ti tira fuori dalla comfort zone.
Quante volte ci ritroviamo a suonare le stesse scale, negli stessi box, con le stesse diteggiature? Questo esercizio rompe la routine, ti obbliga a esplorare zone del manico che magari trascuri, a trovare soluzioni nuove per passaggi che sulla chitarra richiedono un approccio completamente diverso rispetto all’organo.
E poi, diciamocelo: c’è qualcosa di tremendamente rock nel rubare idee ad altri strumenti. Jon Lord non pensava da chitarrista quando ha scritto quell’assolo, e forse è proprio per questo che suona così fresco, così fuori dagli schemi, così incredibilmente efficace.
Quindi sì, è una sfida. Ma è anche un’avventura che vale la pena affrontare. Le vostre dita ringrazieranno (dopo aver smesso di lamentarsi), e il vostro modo di vedere la chitarra non sarà più lo stesso.









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