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Buddy Guy racconta le origini del blues a David Letterman

Per chi ha sottoscritto l'abbonamento Netflix, uno degli intrattenimenti più ben fatti e interessanti degli ultimi mesi è stato il ritorno sulle scene di David Letterman, uno dei più grandi conduttori della tv americana, per anni alla guida del Late Show.Lo show si intitola My Next Guest Needs No Introduction ed è

Per chi ha sottoscritto l’abbonamento Netflix, uno degli intrattenimenti più ben fatti e interessanti degli ultimi mesi è stato il ritorno sulle scene di David Letterman, uno dei più grandi conduttori della tv americana, per anni alla guida del Late Show.
Lo show si intitola My Next Guest Needs No Introduction ed è dedicato ad una sola grande intervista intervallata da scene in cui il buon David entra nei luoghi della vita quotidiana del suo ospite.
Nella puntata uscita oggi, dedicata all’attrice comica Tina Fey, fa capolino uno dei padri del Blues, Buddy Guy, a cui viene chiesto quali siano le origini del Blues di Chicago.

Ci ha molto colpito la risposta di Guy, che nonostante l’età non ha ancora perso un colpo: “Sai David, mi hanno fatto questa domanda un milione di volte. Ma sai cosa? Io penso che non sia affatto musica di Chicago. Eravamo tutti del sud e andavamo a Chicago solo perché lì registrava la Chess Records. È così che hanno iniziato a chiamarci ‘Chicago’, ma se devo essere onesto, dovreste chiamarci ‘i fratelli del Sud.

Questo effettivamente dovrebbe farci riflettere su quanta importanza abbiamo dato alle etichette, alle catalogazioni musicali.
Quando un musicista considerato uno dei padri di un genere ti dice che quel genere in realtà neanche esiste (ovviamente prendetelo con le pinze, è chiaro che il blues di Chicago è stata una realtà), forse bisogna cominciare a farsi qualche domanda. Come quando sotto qualche post ci scanniamo per dire “quello non è Rock” magari additando un genere che comunque può benissimo essere considerato figlio di questo, ma che, forse per antipatia personale, vogliamo per forza escludere.
Allo stesso modo, come quando cerchiamo di incasellare tutto in maniera precisa, impedendo a certi artisti di esprimersi liberamente, di cambiare, perché oramai li abbiamo messi bene a posto nel nostro scaffale (reale o mentale) e odiamo a un certo punti spostarli da un’altra parte.

Ci viene in mente Miles Davis, che a un certo punto non sopportava più neanche la parola “Jazz”, lui faceva “Musica”, e basta.

Comunque sia, se siete tra i pochi che non conoscono la storia della Chess Records, alcuni anni fa è stato prodotto un film che forse vi aiuterà ad addentrarvi in questo bellissimo spaccato della american (o afro-american) history. Qui sotto il trailer.