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Quando YouTube decide che non esisti più: la fragilità del potere digitale

Nel mondo della creatività online viviamo spesso nell’illusione di possedere ciò che costruiamo: canali, community, contenuti. Anni di lavoro, milioni di visualizzazioni e un valore culturale che cresce nel tempo sembrano garantire stabilità. Eppure, tutto questo può svanire in un istante, cancellato da una decisione automatica o da un abuso del sistema da parte di terzi.

La realtà è che non siamo mai proprietari di ciò che pubblichiamo su piattaforme come YouTube. Ne siamo ospiti, soggetti alle loro regole, ai loro algoritmi e alle loro scelte, talvolta arbitrarie e spesso opache. Alcuni dei nomi più noti del panorama musicale digitale — dal bassista Davie504 al produttore Rick Beato, fino alla nostra stessa redazione di Musicoff — lo hanno imparato nel modo più duro.

Il caso Davie504: 14 anni di lavoro appesi a un filo

Con oltre 13 milioni di iscritti, Davie504 è tra i musicisti più seguiti al mondo su YouTube. Dopo 14 anni di attività, ha deciso di raccontare pubblicamente un problema che si è fatto insostenibile: i continui reclami di copyright, spesso infondati.

Nel suo video “YouTube is shutting down my channel”, spiega: “Ricevo rivendicazioni di copyright praticamente ogni giorno e voglio chiarire che non ho alcun problema quando la rivendicazione è legittima”. Il punto critico è quando i reclami sono errati o addirittura malevoli, cioè mirati a sottrarre i ricavi dei suoi video.

L’episodio più assurdo riguarda la sua versione per basso della “Moonlight Sonata” di Beethoven, un brano nel pubblico dominio da secoli. Nonostante l’evidenza, un’etichetta ha rivendicato i diritti e, dopo la sua contestazione, il reclamo è stato confermato. “Poiché ho perso il reclamo, ho ricevuto un copyright strike”, racconta Davie, evidenziando il rischio concreto: “Se ottengo tre copyright strike, il mio canale sparisce, viene terminato”.

Per lui, questa situazione è “folle” e particolarmente devastante per i creator più piccoli, che “sono nei guai seri” perché non hanno risorse per affrontare battaglie legali. Denuncia inoltre un sistema sempre più instabile: i video lunghi e complessi “semplicemente falliscono miseramente”, mentre brevi contenuti realizzati in pochi minuti ottengono milioni di visualizzazioni. “Nessuno è al sicuro qui”, afferma. Un dato su tutti mostra l’assurdità del sistema: “14 milioni di visualizzazioni negli ultimi cinque giorni. Indovina quanto ho guadagnato? Quasi 10 dollari.”

La trappola dei copyright strike secondo Miss Crystal

La vicenda ha suscitato la reazione dell’avvocatessa statunitense (e youtuber) Miss Crystal, che ha analizzato i rischi strutturali del sistema YouTube. Secondo lei, chi pubblica video si trova di fronte a due grandi problemi: “rivendicazioni di copyright false” e quella che definisce “la Grande Soppressione”, ovvero il drastico calo di visibilità dei contenuti.

Ma la minaccia più seria resta quella dei copyright strike: “Bastano tre strike e il tuo canale viene eliminato. Ed è piuttosto spaventoso.” L’avvocata sottolinea come il sistema non distingua tra errori in buona fede e azioni intenzionalmente abusive. A peggiorare le cose, non esiste un modo per prevenire questi attacchi: “Come creator, non c’è davvero modo di impedirlo prima che sia troppo tardi.”

Miss Crystal consiglia di contestare sempre i reclami infondati e di mettere in chiaro ai segnalanti l’intenzione di agire legalmente. Tuttavia, riconosce che la maggior parte dei creator non ha le risorse per farlo, e questo lascia campo libero a chi sfrutta il sistema per danneggiare altri.

Rick Beato contro le major: la libertà d’espressione sotto attacco

Il produttore e divulgatore Rick Beato, con oltre 2000 video pubblicati, combatte una battaglia diversa ma altrettanto significativa: quella contro le major discografiche.

Nel video “This Record Label Is Trying To SILENCE Me” denuncia come Universal Music Group (UMG) abbia inviato numerose richieste di rimozione e copyright strike, perfino per brevi estratti di interviste o analisi musicali realizzati nel pieno diritto di fair use.

Beato racconta di un video da 55 secondi, con 250.000 visualizzazioni e appena 36,52 dollari di entrate, minacciato di rimozione per l’uso di un frammento vocale di Adam Duritz. “Se non combattessi questi tre reclami, il mio canale verrebbe eliminato con i miei 2.000 video. È ridicolo? Per me è ridicolo.”

Negli anni ha dovuto affrontare “probabilmente 4.000 reclami”, tutti respinti, ma le segnalazioni continuano ad arrivare. Molte riguardano interviste con produttori come Daniel Lanois e Brendan O’Brien, per le quali è inevitabile includere brevi estratti musicali. “Bisogna suonare la musica delle persone per parlarne. Questa è la definizione di fair use.”

Nonostante le vittorie legali, Beato denuncia un clima di intimidazione e un sistema che privilegia il controllo totale dei contenuti rispetto alla loro diffusione culturale.

Quando succede a casa nostra: l’attacco a Musicoff

Anche noi di Musicoff abbiamo vissuto sulla nostra pelle la precarietà di affidare il frutto di anni di lavoro a una piattaforma esterna. Nel cuore della notte, un attacco hacker ha trasmesso dirette fraudolente sulle criptovalute dal nostro canale YouTube.
Il primo intervento è stato quello di bloccare le trasmissioni, cambiare chiavi e disattivare accessi di terze parti. Ma i danni erano già notevoli: oltre 5.000 video erano scomparsi, l’algoritmo ci aveva classificato come sospetti e il traffico era precipitato.

Come racconta Thomas Colasanti, è stato necessario un lungo lavoro di verifica e reintegro, e per settimane il canale ha subito penalizzazioni. Solo la mobilitazione della community ha permesso di ribaltare la situazione: le segnalazioni massicce degli utenti hanno attirato l’attenzione della piattaforma e, in sole 17 ore, il canale è stato riaperto. “YouTube… è fatto di persone, di creators, di community proprio quindi la vostra è vera e si sente.” (Thomas Colasanti)

L’esperienza ha lasciato una consapevolezza profonda: anche quando non commettiamo errori, la nostra presenza online è fragile e può essere compromessa da fattori esterni – errori automatici, attacchi informatici, politiche aziendali – su cui non abbiamo alcun controllo.

Ospiti, non proprietari: una riflessione necessaria

I casi di Davie504, Rick Beato e Musicoff (ma con ogni probabilità gli esempi potrebbero essere centinaia o migliaia) dimostrano una verità fondamentale: ciò che costruiamo online non sempre ci appartiene del tutto. Anni di lavoro, progetti con valore culturale e comunità affezionate possono essere spazzati via da un algoritmo o da una segnalazione automatica.

Non esistono soluzioni facili, ma una via è costruire canali di contatto diretti con il proprio pubblico, non dipendere da una sola piattaforma e creare spazi realmente propri. Perché finché saremo solo ospiti nelle case digitali di altri, dovremo sempre fare i conti con il rischio di vederle chiudere da un momento all’altro.



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