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Steven Wilson – The Raven That Refused…

Ci sono pochi personaggi nell’odierna scena musicale capaci di destare motivato interesse in occasione di ogni nuova release discografica. Uno di questi è indubbiamente Steven Wilson, conosciuto al grande pubblico per essere una delle menti dietro quel favoloso progetto chiamato Porcupine Tree. Personalità alquanto

Ci sono pochi personaggi nell’odierna scena musicale capaci di destare motivato interesse in occasione di ogni nuova release discografica. Uno di questi è indubbiamente Steven Wilson, conosciuto al grande pubblico per essere una delle menti dietro quel favoloso progetto chiamato Porcupine Tree. Personalità alquanto variegata e talvolta difficile da trattare, in più di un’occasione ha dimostrato la sua ossessione per la speculazione filosofico-musicale, il suo amore per la musica “pura”, suonata e composta, altre volte si è addirittura fatto baluardo di una tipologia di musicisti in via d’estinzione. Insomma Wilson è una mente sempre al lavoro, sia musicalmente sia a livello teorico e tanta prolificità non poteva rimanere “relegata” all’interno del contenitore Porcupine Tree, per quanto valido esso sia.Nel 2008 è uscito “Insurgentes” primo album della carriera solista ed è stato immediatamente il successo di un capolavoro. “Insurgentes” è un album sperimentale, tetro e arioso allo stesso tempo, una scatola magica da cui fuoriesce con più d’una sorpresa il genio del suo creatore. Al successo di tanto magnifica creazione è seguito nel 2011 “Grace for Drowning”, doppio album d’inediti che però non è riuscito a replicare minimamente la bontà del suo predecessore. Anche “Grace for Drowning” è un album di alta qualità e tanta buona musica, ma niente a che vedere con l’immediatezza e la sensibilità comunicativo-musicale di “Insurgentes”. Arriva in questi giorni il terzo episodio solista di Wilson, “The Raven That Refused to Sing (and other stories)”, e con un titolo simile non c’era che da fiondarsi all’acquisto.
Non è così facile iniziare l’ascolto del successore di “Grace for drowning” dopo quel poco d’amaro in bocca che quest’ultimo ha lasciato, ma è comunque corretto beneficiare Wilson del dubbio. È un riff di basso ricco di groove che apre il disco, ed immediatamente vien da chiedersi dove sia finita “l’eterea elettronicità” dei dischi passati, in particolare di “Insurgentes”. 

Luminol” divampa con un tiro cui già Wilson ci ha abituati grazie alla sua band principale, ma ben presto una tastiera ed una chitarra straziate da effetti e distorsione introducono ad un’atmosfera fatta di rimandi, in cui anche il suono di un flauto non è davvero nulla d’inaccettabile. Non è possibile ridurre a singola classificazione un brano che riesce a racchiudere tante atmosfere quante ne potrebbe contenere un intero disco. In “Luminol” c’è spazio per sezioni di rock trascinante ma anche per del pianismo di stampo classico, sicuramente fin da questo interessante principio si denota una maggior presenza chitarristica rispetto ai passati lavori, e tale carattere si riscontrerà lungo la durata dell’intero album, merito anche della presenza di Guthrie Govan nella lineup.Dopo i dodici densi minuti della traccia iniziale, il chiarore accomodante di “Drive Home” è un buon modo per lasciar riposare le nostre capacità ricettive. Siamo di fronte ad una ballad ben composta, costruita per tendere naturalmente verso un punto vertice rappresentato dal momento solistico di chitarra. Per molti versi è un brano fatto di cliché strutturali/compositivi, che però non riesce ad annoiare o far rimpiangere la complessità del brano precedente. Sicuramente anche la posizione in scaletta aiuta “Drive Home”, subito seguita da una traccia più ricca di materiale musicale quale “The Holy Drinker”.Le tastiere irrisolte dell’introduzione lasciano spazio all’apertura d’un brano a tratti epico nell’orchestrazione, sicuramente fra i migliori esempi della vena prog di Wilson. Il basso sempre presente lascia intravedere nei meandri musicali una forte vena rock che permea tutti i dieci minuti abbondanti di musica, dove trova felicemente luogo anche un favoloso assolo di sax sopranino eseguito da Theo Travis. Al termine della terza traccia l’arrière-plan di Wilson comincia ad apparire più chiaro. Dei sei brani che compongono il disco, tre d’essi presentano una durata sensibilmente inferiore agli otto minuti, e sono utilizzati come spartiacque fra le tre mini-suite rappresentate dai restanti brani. Se anche a livello strutturale tale concezione potrebbe sembrare palese e quasi scontata, nel suo alternare quiete e complessità, la realtà è che “The Pin Drop”, nasconde imprigionata tra le proprie note una carica d’ansia d’imponente portata, e la minor durata non è quindi sinonimo di riposo. L’arpeggio iniziale dalle tinte apparentemente chiare e trasparenti è solo d’inganno, ben presto il brano trova sfogo in un ispirato solo stick che tocca note malinconiche e dolenti, riprendendo a livello sonoro ciò che si era iniziato nella sezione finale della seconda traccia. Il materiale motivico presentato con l’arpeggio d’apertura ritornerà lungo tutto il percorso del brano, quadripartito ed equamente suddiviso fra due sezioni quiete e due più cariche tra loro alternate.The Watchmaker” è l’ultimo brano “esteso” del disco; per i primi quatto minuti è una sognante ballad in cui una chitarra arpeggiata accompagna la voce con poco altro a fare da contorno. Al superamento del quarto minuto il tutto si anima di rinnovata verve, nuovamente i fiati di Theo Travis ritornano nel mondo sonoro della traccia portando alla luce sonorità che tanto candidamente rimandano l’orecchio ai Jethro Tull e al progressive di scuola classica. Il senso melodico del brano non si discosta mai da architetture abbastanza semplici, tanto da sembrare presto di facile ascolto malgrado la durata non unanimemente accessibile. A chiudere il disco troviamo la titletrack “The Raven That Refused to sing”, splendida ballad lenta che ritrova nella carica implorante del ritornello uno dei migliori momenti dell’intero disco. La dolcezza e la pacatezza del brano sono uno fra i migliori episodi musicali dell’intera carriera solista di Wilson, forse una delle poche puntate di questa nuova produzione discografica capaci di replicare le vette qualitative stabilite da “Insurgentes”. Quando si dice riservare il meglio per il finale. “The Raven That Refused to Sing” compie un ulteriore passo avanti dopo il double disc di “Grace for Drowning” lasciando trasparire un Wilson nuovamente memore del suo animo più strettamente chitarristico e solistico. Siamo di fronte ad un ottimo disco di grande prog moderno, mai scontato e capace di regalare più di cinquanta minuti di buona musica, ben composta e ben suonata, merito anche di turnisti d’eccellenza quali Marco Minnemann, Guthrie Govan, Nick Beggs, Adam Holzman e Alan Parsons dietro il banco mixer.
La realtà però è che chi aveva amato quel pazzo e modernamente sperimentale “Insurgentes”, uscito ormai quasi cinque anni fa, non ha più trovato replica nelle successive produzioni di Wilson. “The Raven That Refused to Sing” è un ottimo disco, sicuramente capace di farsi ascoltare con maggior semplicità rispetto al debutto solista datato 2008 e decisamente più convincente di “Grace for Drowning” del 2011. Allo stesso tempo quest’ultimo uscito è un album meno coraggioso, più nostalgico forse, costruito su territori meno impervi, sicuramente capace di non deludere i fan di Wilson ma impotente nel regalare nuove eccitanti sorprese. Consigliato l’ascolto congiunto anche dei precedenti capitoli per godere al meglio del percorso creativo di un artista di notevole caratura, album suggerito soprattutto a chiunque non abbia mai prestato orecchio alla carriera solista di Wilson.
Per il legittimo seguito artistico di “Insurgentes” serve aspettare ancora un po’, fortunatamente Wilson fornisce ottimi mezzi per ingannare l’attesa.

Francesco SicheriGenere: Progressive Rock/Alternative Rock/Experimental Rock

Lineup:
Steven Wilson (vocals, guitar, bass guitar, piano, mellotron, keyboards)
Guthrie Govan (lead guitar)
Nick Beggs (bass guitar, Chapman Stick, backing vocals)
Marco Minnemann (drums, percussion)
Adam Holzman (keyboards, Fender Rhodes, Hammond organ, piano, Minimoog)
Theo Travis (flute, saxophone, clarinet)
Jakko Jakszyk (additional vocals)Tracklist:

  • Luminol
  • Drive Home
  • The Holy Drinker
  • The Pin Drop
  • The Watchmaker
  • The Raven That Refused to Sing
  • Steven Wilson ha rilasciato quattro interessanti video testimonanze delle registrazioni svoltesi a Los Angeles, sotto trovate il primo episodio, per vedere i successivi potete utilizzare i seguenti link:

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