Tra i tanti libri editi da HOEPLI sull’universo di musica e musicisti, quello che ho avuto tra le mani nelle ultime settimane non assomiglia a niente di visto e/o letto in precedenza.
Ma prima di tutto, per quelli di voi che ancora non lo conoscono…
Chi è Cinaski?
All’anagrafe Vincenzo Costantino, Cinaski fa parte di quella tipologia di artisti – anche se è unico a suo modo – che non si limitano solo ad esplorare una strada dell’arte, ma che hanno costante bisogno di abbeverarsi a varie fonti.
Cinaski è un poeta e scrittore, ma è anche un musicista, un cantautore, uno che ama scrivere musica e di musica, in un modo del tutto personale, calando il lettore in narrazioni alquanto particolari, come nel caso del libro di cui parliamo oggi.
Classe ’64, fa derivare il suo soprannome – come molti di noi – dall’adolescenza e se lo porta ancora oggi orgogliosamente addosso, marchiando con esso le sue opere. Qualcuno potrebbe sottintendere per assonanza che dietro ci siano echi di Charles Bukowski… e in effetti scoprirà durante la lettura il quanto e il come…
Alla pari di tanti artisti, la vena artistica di Cinaski nasce dall’esigenza di comunicare e non è un caso se il suo più grande successo editoriale si intitola Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare, mettendo in chiaro che nel suo modo di scrivere non si fanno prigionieri, che i guanti bianchi e i giri di parole sono per coloro che tentano in ogni modo di rivestire il vuoto.
Se dovessimo fare un paragone strumentale, potremmo definirlo un musicista di sostanza, che non riversa note su note, ma che dà impronta, unicità e importanza ad ogni fraseggio, evitando inutili orpelli.
Premesse importanti
Le prime pagine di I (miei) Poeti Rock – Incontri tra delirio e realtà riportano alcuni brevi pensieri di importanti colleghi quali il chitarrista Franco Mussida (PFM), l’attore Paolo Rossi, il cantautore Simone Cristicchi e l’autore Sandro Veronesi.
Mussida parla di Cinaski con parole destinate a pochi: “Vincenzo, quando parli, non ti ascolta, a volte non ti guarda nemmeno. Ma una cosa è certa, ti sente“.
L’introduzione al libro è affidata al sempre ottimo Ezio Guaitamacchi, che per HOEPLI si occupa di coordinare la maggior parte delle collane dedicate alla storia della musica e ad ogni sua ramificazione, anche le più curiose e inaspettate.
Guaitamacchi non esita a definire Cinaski con altrettante parole solide e importanti: “Questo libro non poteva scriverlo che lui, Vincenzo Costantino Cinaski (il Cina per gli amici): l’unico poeta rock italiano“.
Il libro, rock e (è) poesia
La fusione di queste due anime di Cinaski, quella del rockettaro e quella del poeta, ha dato come frutto questo I (miei) Poeti Rock, un libro davvero unico nel suo genere, che si muove sui cinque sensi partendo da quello dell’ascolto.
D’altronde la musica non è altro che saper ascoltare la melodia e il messaggio, più o meno profondo, più o meno criptico, inviato dall’artista tramite le note e le parole.
Così, Cinaski raccoglie alcuni personaggi famosi, italiani ed internazionali, vivi e non più vivi, che hanno scritto il loro nome nella storia ma che soprattutto hanno saputo ascoltare la vita, filtrarla, raccoglierne le essenze e poi inviarle nuovamente a noi, che a nostra volta li ascoltiamo.
“Spacciatori di vita tagliata bene” come li definisce Cinaski stesso.
In una sorta di confine indefinito tra immaginazione e sogno, Cinaski li incontra uno alla volta, ma attenzione, non si tratta di banali “chiacchiere immaginate” (o reali che pur potrebbero essere state).
Ogni volta, c’è un racconto personale – che probabilmente mischia realtà e delirio proprio come dice il titolo, ma non fa differenza – per cui si passa dalle Langhe piemontesi e dalle richieste al catering di Patti Smith, al Cinzano “dovuto” nel caso di Tom Waits, a un “fantasma delle tre” con Kurt Cobain e così via.
C’è anche tempo per conoscere meglio i mondi degli altri, come quello di De André, recepito attraverso gli occhi di una terza persona.
Mentre si legge è difficile stabilire un vero confine tra prosa e poesia, l’incedere di Cinaski è tutt’altro che lineare: frena, accellera, svolta e poi ti riporta sulla via, che men che meno appare retta.
Ed è un po’ quel confine tra la veglia e il sogno, probabilmente, si legge e pian piano una cosa casca nell’altra e noi con essa, la narrazione diventa a volte poesia e le parole diventano attimi ed entità a se stanti.
Ma attenzione, il libro non è solo questo, è anche fatto di episodi che vi faranno sorridere, se non proprio ridere. Di stralci di vita che, senza mezzi termini, non si risparmiano anche un cosiddetto “linguaggio da bar” che in realtà a volte è più poetico di tante altre sfarzosità letterarie, perché sono quelli i versi e le rime della vita quotidiana.
Ascolto, gusto, tatto, odore, vista. Ogni sezione del libro raccoglie storie e personaggi e ogni storia prende spunto dalle parole di questi. Quelle che hanno scritto nelle canzoni e che hanno così consegnato all’eternità. Quelle parole con cui hanno “filtrato” la vita e che spesso servono a noi per reggerne il peso.
Difatti, ogni capitolo si conclude con precisi estratti dalle canzoni e rileggere quei testi – tradotti – dopo ogni breve racconto di Cinaski è un nuovo modo di sentirli con anima e corpo. È assaggiare del buon vino o del cibo con un nuovo palato, sentire qualcosa con nuove orecchie e così via.
Non è detto però che sia sempre così, perché tra i viaggi di Cinaski c’è sicuramente qualche tappa su cui solo lui può fare “sosta e rifornimento” in maniera completa e appagante.
Ma chi di noi ha l’ardire di capire del tutto un poeta (o, semplicemente, qualcun altro)?
Come se non bastasse già da sola la penna di Cinaski (e quella dei 30 artisti citati), ogni racconto è accompagnato dagli ottimi ritratti del pittore Carlo Montana, ognuno dei quali, a sua volta, è unito a citazioni o riflessioni.
Nella sintesi l’autore ci dice che “il Rock è anche restituzione“. Questo I (miei) Poeti Rock non fa che confermarlo.
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