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Hi-Fi: davvero costava meno negli anni ’70 e ’80?

Spoiler: no, ma c'è un motivo se la percezione di molti è questa, vediamo perché l'HiFi odierno non solo non costa di più, ma offre soluzioni economiche decisamente migliori.

L’idea che negli anni settanta e ottanta gli apparecchi Hi-Fi costassero di meno è una di quelle convinzioni che si tramandano nei discorsi tra appassionati, soprattutto quelli di una certa età che quei tempi li hanno vissuti e ne custodiscono un ricordo nostalgico.

È un meccanismo naturale: si parte da frammenti autentici – le cambiali pagate per un amplificatore, le ore nei negozi ad ascoltare vinili – e li si unisce a ciò che oggi ci sembra mancare. Il risultato è una sintesi che non corrisponde più alla verità, ma che ha il fascino di un racconto collettivo: il presente appare sempre peggiore del passato, e così i prezzi di ieri diventano automaticamente più convenienti, anche quando i numeri dicono il contrario.

Quando l’impianto era un traguardo

Immaginiamo di entrare in un negozio di alta fedeltà negli anni ’70, tra scaffali di legno scuro e apparecchi che sembravano usciti da un film di fantascienza. Gli amplificatori Pioneer, ad esempio, scintillavano dietro i vetri con le loro grosse manopole in alluminio, i diffusori troneggiavano come mobili importanti e i giradischi erano strumenti quasi “cerimoniali”.

Non si usciva con un impianto completo senza avere fatto un sacrificio: per portarsi a casa un sintoamplificatore Pioneer SX-525 nel 1972, ad esempio, bisognava spendere 265.000 lire, che oggi corrispondono a circa 2.280 euro.

E se si puntava a una coppia di diffusori CS-99A, servivano 235.000 lire, l’equivalente di 2.020 euro attuali. Non proprio spiccioli, insomma. Da precisar che tutte le cifre sono calcolate secondo dati ISTAT e tenendo ovviamente conto di inflazione e potere d’acquisto (calcolatori online comunque ce ne sono a bizzeffe se avete qualche vecchio annuario e vi volete divertire).

L’illusione del “milione di lire”

Gli anni Ottanta corrispondono alla leggenda del “milione di lire”: con quella cifra – alcuni dicono – ci si comprava un impianto “per sempre”. In realtà, un milione di lire del 1987 corrisponde a circa 1.369 euro di oggi: giusto il budget per un impianto entry level di qualità, non certo per una catena di alto livello (oggi come ieri).

Un amplificatore Denon PMA-250 costava allora 400.000 lire, pari a 548 euro attuali. Con le stesse proporzioni si mettevano insieme ampli, diffusori e giradischi: un sistema dignitoso, sì, ma non il “fior fiore” che i ricordi amano colorare.

L’alta gamma non era per tutti

Chi puntava a componenti più raffinati, come le testine MC di Ortofon, sapeva di dover aprire bene il portafogli. Nel 1984 la MC 2000 era proposta a 1.104.000 lire (IVA inclusa), cioè circa 1.960 euro attuali. Una sola testina che costava quanto un impianto completo.

Questa sproporzione tra prodotti “seri” e prodotti economici era molto netta. L’entry level degli anni Settanta e Ottanta era spesso modesto, sia nelle prestazioni che nella costruzione. Chi si ricorda certi “compattoni” con giradischi e mangianastri (i Philips erano molto diffusi ad esempio) sa di cosa stiamo parlando. Senza arrivare a Stereorama e cose simili.

Oggi, al contrario, la fascia bassa e quella media offrono una qualità impensabile allora: componenti accessibili che garantiscono una qualità sonora più che dignitosa, a tratti stupefacente (anche grazie agli enormi passi avanti del digitale ovviamente).

Un contesto economico diverso

C’è però un altro punto fondamentale. Negli anni settanta e ottanta (ma anche novanta), anche spendere uno o due stipendi in un impianto non mandava in crisi i conti di casa. Il costo della vita era più leggero: affitti, bollette, spese quotidiane pesavano meno, e i salari avevano un potere d’acquisto più alto.

Oggi lo scenario è cambiato radicalmente: stipendi fermi da più di 20 anni, risparmi ridotti e un costo della vita molto più alto fanno sembrare la stessa cifra un lusso. Non è quindi l’hi-fi ad essere diventato più caro: è la vita che è diventata più onerosa.

Margini e rapporti nei negozi

Va ricordato anche che i negozianti di quegli anni godevano spesso di margini di guadagno più ampi. Questo significava sconti più elastici, trattative più dirette e un rapporto diverso col cliente. Oggi i margini sono più bassi e le politiche commerciali più rigide, quindi la sensazione è che il listino sia più “impenetrabile” (non sempre comunque, ci sono ancora dei marchi che fanno listini come dire, “creativi”, per poi dar luogo a enormi scontistiche e attirare il cliente).

Nostalgia e realtà

Il passato, si sa, tende ad apparire migliore. Si ricordano i pomeriggi passati a sfogliare riviste, le ore nei negozi ad ascoltare dischi, la prima coppia di diffusori seria che sembrava un tesoro. È normale che la memoria preferisca ricordare il bello e arricchirlo.
Ma i numeri ci riportano coi piedi per terra: l’hi-fi di qualità è sempre stato un investimento importante, e non era affatto più economico di oggi. Con la differenza che oggi con qualche centinaia di euro abbiamo una qualità sonora al tempo impensabile a quelle cifre.

Oggi il mercato offre ancora una varietà molto ampia (sul solo suolo italiano sono distribuiti e commercializzati quasi 10mila prodotti e accessori, fonte annuario Suono 2024), che permette a chiunque di iniziare con un impianto dignitoso senza dover ipotecare lo stipendio. In più, grazie al commercio online, certi oggetti e marchi nono più dall’altra parte del mondo, importati o meno che siano.
C’è solo una cosa che è uguale oggi come ieri: il quanto spendere non sarà mai più importante del come spendere.



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