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baudelaire caparezza

Prepararsi agli esami ascoltando Caparezza, 2a parte

Secondo appuntamento per scoprire in che modo Caparezza può venirci in aiuto con i nostri esami scolastici!

Continua la nostra preparazione in vista dell’esame tramite l’ascolto dell’album Exuvia di Caparezza. La volta scorsa ci siamo soffermati su Leopardi mediante la canzone “Contronatura”.
E già possiamo tirare un sospiro di sollievo: un importante autore del quinto anno ce lo siamo tolto, sotto al prossimo! 

Bene, devo ammettere che non tutti i programmi concordano sull’autore successivo (io, tra l’altro, cerco sempre di scaricarmi Leopardi al quarto anno per ragioni blasfeme, che qui non dico… che se le dovesse ascoltare qualche studioso di letteratura mi caccerebbe non da eventuali incarichi scolastici, ma direttamente dalla vita. Vabbè, ognuno ha i suoi gusti, no?).
Dicevo: solitamente (e sottolineo ancora per i puristi “solitamente”) dopo il poeta recanatese si procede con un notevole balzo temporale alla volta del Decadentismo e quindi Baudelaire e basta, perché non si ha tempo di spararseli tutti ‘sti francesi…

Quale canzone all’interno dell’album Exuvia può permetterci di ripassare Baudelaire? Ma è chiaro: “Il mondo dopo Lewis Carrol“. Andiamo a vedere il perché! 

Charles Baudelaire
Charles Baudelaire

Baudelaire e Caparezza: la perdita della meraviglia

Entrambi gli autori condividono il tema della perdita della meraviglia. Per chi ha cominciato a seguirmi, abbiamo già affrontato Baudelaire e la Noia nel primo articolo, dove ho collegato il tutto a “Ciao Ciao” della Rappresentante di Lista; quindi, più o meno siamo già avvezzi all’immagine del mondo che terminerà con “uno sbadiglio”.
Caparezza ne “Il mondo dopo Lewis Carrol” fa un discorso simile. La prova è abbastanza esplicita, perché il cantante lo dichiara apertamente a Dario Falcini, autore del magazine Rockit. Cito dall’articolo

«Una delle frasi cardine si ritrova nella traccia Il Mondo Dopo Lewis Carroll. Un adulto appassionato di musica, che ne ha ascoltata tanta e ne ha abusato fino a compromettere le proprie orecchie, a 47 anni non si meraviglia più di niente. Nel pezzo dico “dove sei, meraviglia?” e vado alla ricerca dello stupore che non trovo più». 

Ma, dato che noi siamo esperti di letteratura e ci piace scovare significati segreti all’interno dei testi, questa spiegazione non ci basta…
Lo so, stai pensando che questa è una bella perifrasi per giustificare il fatto che sto portando spudoratamente l’acqua al mio mulino. Hai ragione, ma non del tutto.
Per artisti del calibro di Caparezza certi paradigmi culturali sono stati interiorizzati e possono comparire, anche involontariamente e in modo inconscio, all’interno dei testi. Ancora non ti ho convinto? Pensi che stia esagerando? E allora leggiti bene il prossimo paragrafo.

cappellaio matto

Le tematiche decadentiste dentro il testo

La giustificazione a quanto sostenuto nel paragrafo precedente la possiamo ritrovare direttamente nella prima strofa, dove vengono menzionate due caratteristiche funzionali a inquadrare il tutto all’interno della panoramica decadentista.

Nel quinto verso Caparezza canta “è il non-compleanno, ma non ci sei tu, darling”: sembra proprio che l’artista si stia immedesimando nel personaggio del Cappellaio Matto, il quale aspetta preoccupato l’arrivo di Alice per celebrare la strampalata festa.

Fermiamoci un attimo qui. Sappiamo che gli eroi tipici della poetica decadente sono: l’artista maledetto, l’esteta e l’inetto a vivere. Direi che il Cappellaio riflette, a modo suo, tutte e tre le immagini: si compiace della sua strana vita e delle sue folli convinzioni, cerca di trasformare la sua vita in un’opera d’arte festeggiando ripetutamente la festa del non-compleanno, ed è escluso dalla vita sociale (sempre a causa della sua follia).

Si può scorgere quindi che la caratteristica comune a tutte e tre le immagini è l’irrazionalità. Paradossalmente è essa che ci mantiene in vita: la razionalità, la visione positivista di fine ‘800 inizio ‘900 ha prodotto parecchi inconvenienti e ha gettato le basi per futuri problemi (ad esempio l’inquinamento dovuto alla costruzione delle fabbriche a seguito della rivoluzione industriale; oppure basti pensare allo sviluppo di nuove armi di distruzione di massa).

Se la razionalità non ci ha portato da nessuna parte, ecco che, a questo punto, conviene dirottare completamente la barca puntando sulla direzione totalmente opposta: l’irrazionalità. Paradossalmente l’essere che la cultura contemporanea condivide come l’emblema della follia/irrazionalità, è colui che scuote Alice perché la trova irrazionale.
Vediamo appunto come meraviglia e irrazionalità coincidono. Come a dire: “Alice, occhio! Hai perso l’irrazionalità che ti fa meravigliare delle cose, la condizione che ti mantiene in vita! Ora stai abbracciando la razionalità, ossia il grigiore della vita quotidiana, caratteristica di chi non sogna, di chi non è abbastanza folle per osare”.  

Ma attenzione. Non basta solo questo per convincerti. Sei pignolo, vuoi altro. E sia. Sempre nella prima strofa possiamo leggere: “mi hanno detto che non guardi più i gatti / ma l’armadietto dei farmaci e devi curarti”.
Vorrei concentrarmi solo sulla parola gatti. Ebbene, il dolce felino domestico compare in tre poesie baudelairiane. Prendiamone una per esempio, I gatti:

I fervidi innamorati e gli austeri dotti amano ugualmente,
nella loro età matura, i gatti possenti e dolci, orgoglio
della casa, come loro freddolosi e sedentari.

Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e
l’orrore delle tenebre; l’Erebo li avrebbe presi per funebri
corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.

Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti delle grandi
sfingi allungate in fondo a solitudini, che sembrano
addormirsi in un sogno senza fine:

le loro reni feconde sono piene di magiche scintille e di
frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente
le loro pupille mistiche.

Si può vedere come il gatto sia l’emblema per eccellenza del poeta decadente. Nel caso di Caparezza Alice che non guarda più i gatti non è da intendere meramente nell’accezione “degregoriana” (Alice), ma la non-azione viene vista come il rifiuto della irrazionalità, il ritorno funebre e grigio alla mediocrità quotidiana. 

Ti ho convinto ora? Se sì, un altro autore del quinto, lo abbiamo fatto! Mi raccomando, non perdetevi la terza parte!