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Greg Lake: quando Robert Fripp trasformò un chitarrista in bassista

Come Greg Lake, da chitarrista “riciclato” al basso, ha trasformato un ripiego in un’estetica sonora precisa e originale.

Greg Lake non voleva fare il bassista. O meglio: non era quello il piano. Eppure, da quella “deviazione” suggerita da Robert Fripp è nata una delle voci più riconoscibili del basso prog-rock, sospesa tra melodia vocale, rigore ritmico e un’idea di suono che lui stesso paragonava al registro grave di un pianoforte Steinway.

Dalla chitarra al basso: “quattro corde, cosa vuoi che sia?”

Alla fine degli anni ’60 Greg Lake è un giovane chitarrista con una grande voce e un amico di infanzia piuttosto determinato: Robert Fripp. Quando nascono i King Crimson, la priorità è avere proprio quella voce al centro del suono della band, e la soluzione “pratica” è semplice: che sia Lake a prendere in mano il basso.

Il ragionamento iniziale di Greg è quasi disarmante per ingenuità: quattro corde invece di sei, strumenti simili, quanta differenza potrà mai esserci? La risposta arriverà prestissimo, e non in modo particolarmente delicato.

La rivelazione arriva in sala prove, con il batterista Michael Giles a fare da spietato “docente” di linguaggio ritmico. Durante una delle prime session, Lake suona come fosse ancora un chitarrista: riempie, commenta, si muove libero sopra la batteria.
Giles si ferma, lo guarda e gli fa capire in modo molto chiaro che quando il rullante parla, il basso deve stare zitto, se si vuole che il colpo arrivi al pubblico.

È il momento in cui Lake capisce che il basso non è una chitarra con meno corde ma un altro mestiere: è parte della struttura, non dell’arredamento. Da quel punto in poi, il suo playing inizia a spostarsi dal virtuosismo da sei corde alla responsabilità di stare dentro la batteria, diventando il collante che tiene insieme armonia e groove.

Il suono: dal disincanto del tape-wound al “basso‑pianoforte”

Da chitarrista, Lake tenta inizialmente di portare sul basso lo stesso tipo di approccio tecnico e timbrico, salvo scontrarsi con un nemico imprevisto: la mancanza di sustain. Con le corde tape-wound il suono gli sembra corto, poco gratificante, quasi monodimensionale.

Il cambio arriva quando scopre le corde roundwound, che gli permettono di sviluppare quel timbro che inseguiva mentalmente: il low end di un pianoforte Steinway, profondo ma definito, capace di sostenere note lunghe e di farsi largo nel mix anche quando il fronte sonoro è dominato dai muri di tastiere di Keith Emerson.
È un basso che non fa solo “peso”, ma disegna anche le armonie e sostiene la linea vocale, diventando una sorta di ponte tra il mondo ritmico e quello melodico.

Plettro, percussività e il vincolo del cantare al basso

Lake si è sempre dichiarato senza imbarazzo un bassista da plettro, per una ragione tanto semplice quanto musicale: con il plettro riusciva a ottenere l’attacco percussivo che cercava, oltre a sfruttare anni di esperienza da chitarrista.
Il fingerstyle, alle prime prove, gli suonava come un timido “boom, boom, boom”, troppo morbido rispetto alla solidità e alla chiarezza che voleva nel mix.

La vera sfida non era tanto tecnica, quanto di ruolo: cantare e suonare il basso significa non potersi “staccare” dallo strumento. Con la chitarra puoi scegliere quando intervenire, con il basso no: se ti fermi, il pezzo crolla. Da qui deriva il suo stile: linee incisive ma spesso lineari nelle parti cantate, più libere e articolate nelle sezioni strumentali, dove il basso può permettersi di dialogare con batteria e tastiere senza mettere a rischio l’ossatura del brano.

ELP: nostalgia per la chitarra, necessità del basso

Con la nascita di Emerson, Lake & Palmer, la situazione si complica ulteriormente: da un lato Lake è chitarrista nell’anima, dall’altro il progetto vive su una struttura a tre, in cui ogni assenza si sente come un vuoto enorme.
Ogni volta che imbraccia la chitarra, il basso sparisce e la musica cambia natura. Keith Emerson prova a colmare il buco con pedali d’organo o Moog, ma per Lake non è la stessa cosa: manca il dialogo vivo tra kick e basso, quella micro-dinamicità che nessun pedale MIDI potrà mai sostituire.

Paradossalmente, è proprio questo equilibrio instabile a dare a ELP il suo carattere: il basso di Lake si muove in mezzo a una batteria spesso accordata molto tesa e a tastiere che occupano praticamente tutto lo spettro, creando una tensione continua tra fondamento e virtuosismo.

Dal punto di vista del bassista, Carl Palmer non è il tipico batterista “comodo”: il suo drumming guarda al jazz e a Buddy Rich, lontano dagli standard rock anni ’70. Per Lake, questo significa dover lavorare doppiamente, soprattutto come produttore, per far sì che basso e cassa si incastrino invece di pestarsi i piedi.

Quello che sulla carta è un problema – la difficoltà di far “sposare” basso e kick – diventa però un marchio di fabbrica: nelle produzioni ELP c’è spesso una sorta di attrito controllato tra la solidità del basso e la frenesia della batteria, una scelta che contribuisce a rendere immediatamente riconoscibile il loro sound nei dischi che Lake ha prodotto, tutti arrivati al platino.

Bassista, produttore, guardiano dell’originalità

Il punto di vista del bassista, secondo Lake, aiuta anche nel lavoro di produzione: stando al centro del mix tra batteria, armonie e voce, finisci per sviluppare una visione complessiva del brano, piuttosto che un’ossessione per il tuo strumento. Senza coltivare il mito del “super producer”, Lake costruisce una serie di dischi – dai King Crimson a ELP – in cui il filo conduttore non è solo la qualità audio, ma la ricerca ostinata di un’identità sonora distinta.

Per questo rifugge anche l’etichetta “progressive”, che giudica pomposa e un po’ snob. Preferisce parlare di originalità: attingere alle radici europee, al folk, alla musica colta, a Holst più che al solito canone blues‑rock, non per sentirsi superiori, ma semplicemente per non suonare come tutti gli altri.

La storia di Greg Lake è probabilmente familiare a molti: tanti sono i chitarristi nel passato sono stati spostati al basso per esigenze di band.
Il percorso di Lake dimostra che da un gesto quasi casuale nasce un linguaggio personale, fatto di plettro deciso, sustain curato, attenzione maniacale al rapporto con la batteria e una visione da produttore più che da semplice sideman.​

Il messaggio implicito è abbastanza chiaro: prendere in mano un altro strumento significa cambiare prospettiva, e se fatto con consapevolezza può diventare il luogo dove si costruisce davvero il carattere di una band, soprattutto quando quella band si chiama King Crimson o Emerson, Lake & Palmer.



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