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Gli sbagli che ti fanno perdere tempo in sala prove (e buttare via soldi)

Questo articolo è per le band che passano due ore in sala prove e alla fine si chiedono: "Ma cosa abbiamo fatto oggi?" Spoiler: probabilmente avete buttato via tempo e soldi senza accorgervene.

Alziamo le mani: chi di voi è mai uscito da una prova in sala con la sensazione di aver concluso qualcosa di concreto? E chi invece si è ritrovato a pagare 10/15/20 euro a testa per passare due ore a litigare su quale versione di un assolo suonare, o peggio, ad aspettare che il chitarrista accordasse per la quinta volta la sua chitarra?

La sala prove dovrebbe essere il luogo dove la band cresce, dove le canzoni prendono forma, dove si lavora sulla chimica tra musicisti. Invece, troppo spesso si trasforma in una perdita di tempo organizzata male, dove ognuno fa quello che gli pare senza un minimo di disciplina o pianificazione.

Il problema non è la mancanza di talento. È la mancanza di metodo. Sono le cattive abitudini che si stratificano prova dopo prova, finché non diventano “il modo in cui facciamo le cose“, anche se quel modo è oggettivamente inefficiente.

Basta poco per trasformare le vostre prove da caos improvvisato a sessioni produttive. Serve solo un minimo di organizzazione e la consapevolezza di quali sono gli errori che vi stanno fregando il tempo (e i soldi).

Vediamo i cinque errori più comuni che le band – non solo quelle alle prime armi – fanno durante le prove, e soprattutto come evitarli.

Arrivare in sala senza un piano

Questo è probabilmente l’errore più comune. La band si trova in sala, tutti sono lì, gli strumenti sono collegati, l’amplificatore ronza già… e nessuno ha la minima idea di cosa si farà nei prossimi 120 minuti. Così parte il brainstorming collettivo.

“Allora raga, che facciamo oggi?”
“Boh, riproviamo quel pezzo nuovo?”
“Quale? Quello di sabato scorso o l’altro?”
“Non lo so, vediamo… o magari facciamo quella cover che avevamo detto?”
“Sì ma quale cover? Ce n’erano tipo tre…”
“Scusate io non ho avuto tempo di impararla”
“Ora cerco gli accordi su google ma non so se sono giusti”
“Ma in che tonalità è l’originale?”
“Ok mentre cerchi io fumo una sigaretta qui fuori”
Ecc…ecc…

Ecco, avete appena bruciato 10 minuti solo per decidere da dove iniziare. E questo è lo scenario ottimistico. Nello scenario realistico, ogni membro della band ha un’idea diversa di cosa serve lavorare, nessuno vuole cedere, e si finisce a fare quello che propone chi urla più forte o chi ha più carisma nel gruppo.

Il punto è semplice: se non avete un piano prima di entrare in sala, passerete una fetta significativa del tempo a decidere cosa fare invece che a farlo. È come andare al supermercato senza lista della spesa: giri a caso, compri cose inutili, dimentichi quella che ti serviva davvero, e sprechi un sacco di tempo.

Come risolverlo: Create una scaletta per le prove prima di arrivare in sala. Non serve un documento formale, basta un messaggio nella chat di gruppo qualche giorno prima. Stabilite chi fa il “direttore di sala” e quindi propone l’ordine del giorno:

  • Primo brano: lavoro su intro e ritornello
  • Secondo brano: sistemare la sezione centrale che non quadra
  • Terzo brano: provare la versione nuova dall’inizio alla fine
  • Passata veloce di tutti i pezzi del repertorio per rinfrescare

Tutti vedono il programma in anticipo, possono dire la loro se manca qualcosa di urgente, e quando arrivate in sala sapete esattamente da dove partire. Niente discussioni, niente indecisioni. Montate, attaccate, lavorate.

Un trucco in più: mandate il programma con almeno 24 ore di anticipo. Questo dà tempo a chi ha dubbi o proposte di farsi sentire, invece di tirare fuori obiezioni una volta che siete già in sala e avete iniziato a suonare. E soprattutto permette a ognuno di ripassare mentalmente (o con lo strumento a casa) le parti che dovrete lavorare, arrivando in sala più preparati.

Montare e smontare in tempi biblici

Arrivate in sala e cominciate con estrema calma a tirare fuori gli strumenti, a montare quel che serve del drumkit, a collegare i cavi che escono sempre tutti intrecciati dalle valigette, a sistemare i microfoni, a fare il soundcheck improvvisato dove ognuno regola il proprio volume alzandolo più del vicino finché non suonate tutti fortissimo…

Alla fine della prova, stessa storia al contrario: smontate tutto con lentezza, chattate mentre riponete le cose, chi pensa a farsi la birretta prima di rimettere lo strumento nella custodia. E magari c’è anche la band del turno dopo il vostro che aspetta di entrare…

Facciamo i conti: su 120 minuti di sala, ne avete appena persi 30 in montaggio e smontaggio. Più i tempi morti, le indecisioni, la “pausa birretta”, l’uso del bagno e altri imprevisti, avete suonato effettivamente per poco più di un’ora. Quasi la metà del tempo (e dei soldi) è andata in… beh fate voi.

Ora, è ovvio che montare e smontare non potete evitarlo, a meno che la sala non sia di vostra proprietà. Ma potete renderlo molto più efficiente di quanto probabilmente state facendo ora.

Come risolverlo: Trattate montaggio e smontaggio come operazioni militari da ottimizzare. Ecco come:

Prima di entrare in sala:

  • Preparate tutto in modo ordinato da quando partite da casa: cavi ben riposti, alimentazioni pronte sui pedali, settaggi già ottimizzati, accessori in tasche apposite, tracolle già sugli strumenti, ecc…
  • Ognuno sa esattamente cosa deve fare appena entrate: il batterista monta il kit, il bassista collega l’ampli (e sa già come equalizzarlo!), il chitarrista sistema i pedali (stessa cosa del bassista per l’ampli), il cantante ha già il microfono e sa cosa fare velocemente sul mixer (“come si metteva l’effetto?”, cercade di ricordarvelo, non è un esamente di astrofisica).
  • Nel mentre, evitate di chattare al tel. Si monta, punto.

Alla fine della prova:

  • Non riducetevi all’ultimo secondo, perchè poi rischiate di rubare tempo a chi suona dopo di voi. Negli ultimi minuti della prova, finite l’ultimo brano e poi VIA, tutti a smontare velocemente
  • Regola base: ogni musicista smonta solo la sua roba, ma aiuta gli altri se finisce prima.
  • Lasciate la sala come l’avete trovata, le altre band non si portano dietro la domestica a causa vostra

Questo vi regala 20-25 minuti in più di tempo effettivo di prova, senza nessuno sforzo extra, solo organizzandovi meglio.

Soundcheck infinito

Questo è un classico che fa impazzire. Gli strumenti sono montati, siete pronti a suonare, ma prima serve sistemare i volumi e le equalizzazioni. Quindi parte il soundcheck.

Il chitarrista comincia a suonare un power chord in loop. Il bassista si aggiunge con una linea ripetitiva. Il batterista fa un ritmo base. Il cantante prova il microfono con “uno due, uno due” per tre minuti buoni.

Ma il chitarrista non si sente abbastanza, quindi alza. Il bassista a quel punto non si sente più, e alza anche lui. Il batterista picchia più forte per compensare. Il cantante urla nel microfono perché non si sente nella cassa (che intanto va in feedback). Il chitarrista alza ancora perché adesso il batterista copre tutto…

Passano 15 minuti. Il volume generale è salito a livelli ridicoli. Ognuno sente solo sé stesso. Il suono complessivo è un muro indistinto di frequenze che si pestano i piedi. E nessuno è soddisfatto.

Come risolverlo: Il soundcheck non è una jam session. È un’operazione tecnica che deve durare 5 minuti massimo.
Regola d’oro: partite tutti a volume basso. Sempre. Partire bassi vi obbliga ad ascoltarvi invece che a coprirvi. Poi ricordatevi che non state lì per ascoltare voi stessi o per sfogare la voglia repressa di spingere l’ampli a 10. Siete lì fare musica e per ascoltarla. Bene.

Se non vi sentite abbastanza, la prima domanda non è “devo alzare?” ma “c’è qualcun altro che sta suonando troppo forte e mi copre?”. Nove volte su dieci il problema non è che voi siete bassi, è che qualcun altro è troppo alto. Abbassare quello risolve il problema senza far esplodere il volume generale.

Per i cantanti: non state facendo né karaoke né dovete far marciare un corteo, la voce deve avere il volume corretto nel mix. E dalla spia dovete sentirvi, non spettinarvi. Spesso quando “non vi sentite” è psicoacustica, perché volete sentire la voce emergere su tutto. Ma siete in una band, ricordatevelo.

Un trucco utile: registrate il soundcheck (oramai ci sono ottimi recorder portatili a prezzi ottimi, soprattutto se si comprano dividendo la spesa tra tutti i membri della band). Poi riascoltatelo. Sentirete immediatamente cosa non va: “Caspita, la chitarra è eccessiva” o “Il basso sparisce completamente”. Vi darà un riferimento oggettivo invece che affidarvi solo alla percezione soggettiva di ognuno, che è sempre sballata perché ognuno è fisicamente vicino al proprio strumento.

E una verità che fa male: non avete bisogno di sentire tutto perfettamente in sala prove come se foste in studio di registrazione. La sala prove è per lavorare insieme, non per un ascolto da audiofili. Se sentite voi stessi e gli altri in modo decente, basta. Non perdete tempo a cercare “il suono perfetto” in una stanzetta di 4×4 metri con acustica tremenda. E non girate le manopole del mix a casaccio, fate peggio che meglio.

Fermarsi ogni 10 secondi

Questo è un errore subdolo perché sembra produttivo, ma in realtà è un sabotaggio camuffato da perfezionismo. La band inizia a suonare un pezzo, arriva alla quarta battuta, e qualcuno si ferma.

“Aspetta aspetta, lì ho sbagliato, riproviamo.”
Si ricomincia. Sesta battuta, qualcun altro si ferma.
“No raga, il tempo non è giusto, troppo veloce.”
Si ricomincia. Ottava battuta, di nuovo stop.
“Aspetta, facciamo partire il ritornello da quel DO o dal FA?”
Si discute. Si ricomincia. E così via per 20 minuti, senza mai arrivare alla fine del brano nemmeno una volta.

Il problema di questo approccio è che non vi fa mai suonare davvero insieme. State lavorando su frammenti isolati senza mai sperimentare come funziona il pezzo nel suo insieme, con le sue dinamiche, i suoi respiri, le sue transizioni. È come voler imparare a guidare facendo solo rettilinei di 50 metri: tecnicamente stai usando l’auto, ma non stai davvero guidando.

Inoltre, fermarsi continuamente uccide l’energia e la concentrazione. Ogni volta che ripartite da capo dovete “rientrare” mentalmente nel pezzo, ricaricare l’attenzione, sincronizzarvi di nuovo. È faticoso e controproducente.

Come risolverlo: Usate la regola del “Play Through”. Almeno le prime 2-3 volte che suonate un pezzo durante una prova, lo suonate tutto senza fermarvi. Mai. Per nessun motivo.

Sbagli? Vai avanti, come si farebbe in un live. Qualcuno perde il tempo? Gli altri lo aspettano e si riallinea. C’è una sezione che non funziona? Prendete nota mentalmente e andate avanti. L’importante è arrivare fino alla fine, sempre.
Alla fine del pezzo, elencate e risolvete gli errori.

Una variante utile: suonate prima concentrandovi sulla tecnica (tutte le note giuste, gli attacchi precisi), poi fate una passata dove “vi lasciate andare” pensando solo all’energia e all’emozione del brano, fregandovene degli errori minori. Questo allenamento doppio vi rende musicisti più completi. E meno frustrati da questa sorta di “coiti interrotti” continui.

Discutere a vuoto

L’ultimo errore, forse il più frustrante: la band passa più tempo a parlare di musica che a suonare musica. Con gli strumenti muti in mano, discutendo animatamente su quale versione di un arrangiamento sia migliore.

Passano 10 minuti. 15 minuti. 20 minuti. Ognuno ha la sua teoria, ognuno difende la sua visione, nessuno cede. E intanto non state suonando. State parlando, filosofeggiando, teorizzando.

Il problema fondamentale di queste discussioni è che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno senso finché non provate le diverse opzioni. La musica non è teoria astratta, è suono concreto. Quello che suona bene sulla carta può fare schifo nella realtà, e viceversa.

Regola semplicissima ma per voi rivoluzionaria: non interessa chi ha ragione sulla carta. Si provano tutte le versioni, si registra anche con un telefono, si riascolta, si decide. Fine.

Questo approccio ha un altro vantaggio enorme: toglie l’ego dall’equazione. Non è più “la mia idea contro la tua idea” ma “la versione A contro la versione B”. Entrambe vengono provate con lo stesso rispetto, e si sceglie quella che oggettivamente suona meglio. Chi aveva proposto l’idea scartata non si sente sminuito, perché comunque l’avete provata seriamente.

In più, riascoltarvi vi fa capire se state davvero migliorando o se state girando in tondo. È un feedback brutalmente onesto che non mente mai.

La sala prove non è un parco giochi

Tutti questi errori nascono tutti dalla stessa radice: mancanza di disciplina e metodo. Non servono regole rigide militaresche, serve solo la consapevolezza che il tempo in sala è limitato e costoso, e va usato con intelligenza.

Ogni minuto perso in cazzeggio, discussioni inutili, montaggi lenti, vi costa soldi. E soprattutto vi costa opportunità: quelle due ore potevano essere usate per imparare un brano nuovo, perfezionare quelli vecchi, sperimentare arrangiamenti, crescere come band e anche come solisti.

Le band che sfondano non sono necessariamente le più talentuose. Sono quelle che lavorano meglio, che sfruttano il tempo in modo intelligente, che hanno una disciplina interna che le fa crescere più velocemente delle altre. E tutto inizia da come gestite le prove in sala.

Quindi la prossima volta che prenotate una sala, prima di entrare, fatevi queste domande:

  • Abbiamo un piano chiaro di cosa faremo oggi?
  • Siamo preparati per montare velocemente?
  • Abbiamo deciso chi gestisce il soundcheck per evitare anarchia?
  • Ci siamo promessi di suonare dall’inizio alla fine almeno 2 volte ogni brano?
  • Abbiamo stabilito che le discussioni durano max 2 minuti poi si prova?

Se la risposta è sì a tutte, congratulazioni: non siete più una band che “va in sala”. Siete una band che va in sala a suonare. E la differenza, si vede. E poi, nei concerti, si sente.



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