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Strumenti per creativi Pt.2

L'approccio classico: "Ragazzi, sentite questo riff, è dinamite!". Credo che chiunque tra noi si possa identificare nel folto gruppo che usa o ha usato questo metodo. Sicuramente è il primo che ho imparato e penso sia così per la maggior parte di voi, affermazione ancor più vera se prendiamo in considerazione nello

L’approccio classico: “Ragazzi, sentite questo riff, è dinamite!”. Credo che chiunque tra noi si possa identificare nel folto gruppo che usa o ha usato questo metodo. Sicuramente è il primo che ho imparato e penso sia così per la maggior parte di voi, affermazione ancor più vera se prendiamo in considerazione nello specifico chitarristi e bassisti.
Il metodo classico parte da un approccio dal basso verso l’alto, un’idea semplice, generalmente un riff, una melodia, un ritmo; su questa idea “elementare” (non nel senso di banale ma nel senso che rappresenta un elemento base del pezzo, come una cellula è l’elemento base di un organismo) si comincia a costruire qualcosa di più complesso. Partendo dal riff si va in sala prove e si improvvisa, più volte, così da sviluppare il pezzo.Una buona idea è quella di registrare tutto! Registrate le prove, registrate l’idea singola quando vi viene in mente, registrate le variazioni e riascoltatele spesso; ci sono persone che vanno in giro con registratori tascabili per paura di essere colti dall’ispirazione nei momenti più impensabili. Oggi con lettori mp3, cellulari, minicomposer ed altre cianfrusaglie tecnologiche è enormemente più semplice fissare le idee, cosa che mi ha evitato di diventare furibondo nel rendermi conto che il riff “che spacca” lo avevo già dimenticato dopo poco, causa memoria uditiva fallace.L’approccio schematico modulare
È ancora un metodo che parte dal basso verso l’alto, cercando di individuare gli elementi chiave del pezzo (riff, ritornello, strofa); una volta messi assieme non serve molto altro se non organizzarli secondo una forma canzone standard. Generalmente ci si basa sul fatto che il 90% della musica popolare si può scomporre in elementi base secondo uno schema tipo intro/strofa/ritornello/strofa/ritornello/finale o una delle sue possibili variazioni con o senza assolo. Alcuni gruppi hanno fatto di questo un marchio di fabbrica strutturando i loro pezzi su una di queste variazioni.
È anche possibile non seguire per forza una “forma canzone” banale, il vero vantaggio di questo metodo è che permette di visualizzare facilmente le strutture e quindi comporre più facilmente brani interi. Lo svantaggio è che si approccia alla composizione quasi come se si stesse giocando con un Lego e si tende a perdere il senso del particolare e suonare le parti appartenenti alla stessa categoria (es: tutte le strofe) in modo dannatamente simile.
In questo caso gli strumenti più utili sono carta e penna oppure un arranger (tipo il noto Band in A Box) dove si definiscono gli elementi singoli, i giri armonici, si imposta la struttura, affinché il computer proponga un arrangiamento secondo lo stile che impostate. 
Naturalmente solo un idiota spaccerebbe per sua una base fatta col BIAB, perchè anche al karaokista più becero il pezzo suonerebbe più fasullo del décolleteé di Pamela Anderson (e non altrettanto attraente). Tuttavia l’uso di questi software rappresenta un ottimo aiuto per avere un’idea di massima di come girerà il pezzo, uno strumento per creare una demo prima di andare in sala prove, utile anche per tentare qualche sperimentazione armonica che non padroneggiamo bene ma che il computer suonerà senza esitazioni.

A schema inverso
Questo metodo è simile al precedente ma parte da un approccio dall’alto. Si definisce a priori la struttura, si crea lo schema e magari si parte dal testo e ancor prima dall’argomento che deve trattare; pian piano si rifinisce il tutto costruendo elementi sempre più particolari, ma al contempo più raffinati. In pratica è un po’ come quando si disegna un oggetto partendo dalle forme approssimative e dalle proporzioni, per poi raffinare i dettagli in un secondo momento.
Questo metodo è interessante perché permette di approcciarsi alla composizione partendo da idee molto astratte e sviluppandole fino a tradurle in musica e parole singole. In tal modo si riesce ad avere una visione d’insieme del pezzo, si decide una direzione, si definiscono le “proporzioni” e non si rischia di trovarsi, una volta che il pezzo è finito, ad aver “disegnato un brano con la testa enorme e le gambe corte”… Apparentemente sembra utile nelle arti figurative, ma vi assicuro che lo è altrettanto in musica, troppe volte si sentono pezzi sproporzionati, con assoli noiosi, ritornelli poco incisivi, parti che non rispettano un crescendo ed una dinamica adatte a gestire l’interesse dell’ascoltatore.
Non solo è possibile mantenere le proporzioni ma anche sfruttare elementi complessi del pezzo (ma anche di gruppi di pezzi, così nascono i concept o le suite) per esprimere un concetto portante oppure per giocare con simmetrie sulle strutture (es: intro-strofa-bridge-strofa-rit-strofa-bridge-strofa/solo-outro), sulle armonie o sui ritmi.
Gli strumenti in questo caso sono sempre le fedeli carta e penna e una serie di regole d’oro che si apprendono con la pratica, è infatti importante imparare a vedere il pezzo nell’insieme per non perdere la giusta prospettiva, mantenendo gli elementi caratterizzanti.
Io uso spesso una check list per questa parte della composizione, qualcosa del tipo:

  • intro in crescendo
  • tema riproposto in apertura e chiusura
  • simmetria nelle strofe o serie progressiva (es: strofa-bridge-strofa-rit-strofa-rit-solo-rit)
  • tenere conto della dinamica, creare crescendo fino al secondo rit.
  • sciogliere le tensioni sul rit. finale 
  • tipo di chiusura del pezzo
  • lunghezza del pezzo
  • scambio di assoli
  • Ovviamente la lista varia in base a quello che di volta in volta voglio ottenere, ma viene fuori partendo dalle idee astratte iniziali, dai concetti che voglio esprimere.

    Approccio “automagico”
    Di solito mi servo di un sequencer che programmo per fargli eseguire quello che normalmente non potrei eseguire! 
    Le possibilità sono molteplici, si va dal semplice sovrapporre ritmi differenti che si inseguono nel tempo, alle melodie che si intrecciano, alle suddivisioni metriche complicatissime o all’applicazione in musica di qualche serie matematica riadattata. Col computer si possono applicare una marea di trucchi per recuperare temi e riff magari già usati o che non sembrano particolarmente validi, basta un po’ di fantasia ed a volte schiacciare qualche bottone a caso per sentire subito come funziona il pezzo.

    fotoguitarpcApproccio misto
    Questo è decisamente il mio metodo, o almeno quello che ho usato maggiormente nell’ultimo periodo in cui mi sono dedicato a comporre musica invece che fare cover, ed è abbastanza singolare per un chitarrista (o almeno per quel che mi riguarda conosco davvero pochissime persone che lavorano in questo modo) perché prevede di stare ad almeno 5 metri da qualsiasi strumento a corde!
    Si tratta di un mix di tutti i metodi già esposti con qualche trucco e rifinitura extra. Generalmente parto dal metodo a schema inverso oppure dall’approccio classico con un riff o una melodia, più frequentemente da un’idea ritmica. Il mio obbiettivo è soprattutto quello di slegarmi dai clichè chitarristici, così da non ritrovarmi a muovere le dita meccanicamente su qualche fraseggio che ho precedentemente imparato; la mia unica speranza è quindi cantare la melodia che ho in testa cercando di trasferirla in qualche modo su una traccia del mio sequencer.
    Molte volte è difficile riprendere l’idea in tutte le sue sfumature, la canto per fissarla e cerco di impararla con la chitarra o di suonarla con la tastiera, alte volte la scrivo a colpi di mouse direttamente sul piano roll e nella perdita di sfumature o nella mia errata interpretazione delle pause viene fuori qualcosa che mi piace.
    Una volta fissate le idee comincio a svilupparle con un misto di tutti i metodi che ho già spiegato. Di solito ascolto il passaggio decine di volte e cerco di immaginare le altre parti (generalmente il riff di chitarra è l’ultima cosa a cui penso, parto da un ritmo di batteria o da una melodia che faccio suonare sempre ad un synth), ascolto e riascolto ed intanto aggiungo delle cose.
    Posso perderci giorni interi per una singola parte, focalizzandomi sugli accenti e provando ad incastrare basso, chitarra e batteria per farli suonare secondo gli accenti che ho in mente. 
    Durante questi ascolti capita che mi venga l’intuizione su come proseguire col pezzo, un po’ come stare al buio ed avere un attimo la capacità di intravedere cosa c’è intorno; se però non capita, posso anche contare sul mio archivio di riff e idee, un calderone di appunti che ho scritto negli anni e che non sono mai brani interi ma che a volte, riascoltati, mi danno nuovi spunti. 
    Altre volte prendo il mio software di arrangiamento e gli faccio suonare delle parti alternative impostando pochi accordi e improvvisando sugli stili, è molto utile per far suonare parti lunghe di batteria, basso e tastiera che in quel momento vuoi solo “disegnare” in modo approssimativo per riempire la struttura; altre volte è formidabile nel suggerirti uno stile che non avresti mai pensato e preziosissimo nel fornirti un’idea di massima degli elementi base che ti serve conoscere quando affronti uno stile che non padroneggi. 
    Mi è tornato molto utile quando ho preso il vizio di mischiare gli stili rock e prog con la musica sudamericana, sarebbe stato impossibile senza questo strumento (o senza rapire Tito Puente per scriverti le ritmiche).Una volta creato il pezzo, che in alcune parti sarà approssimativo e volutamente scarno, in attesa di farlo arricchire dagli altri musicisti, mentre in altre sarà praticamente completo in ogni sua parte, con strumenti e suoni già definiti, faccio passare un po’ di tempo per far “decantare” il tutto. Questa fase è anche necessaria per studiare le mie parti… già, perché nulla di quello che è scritto è stato ancora suonato e quindi devo necessariamente imparare a suonarlo sulla chitarra, quasi come se facessi una cover di me stesso. Il che è un vantaggio accessorio perché mi costringe a studiare e aiuta a migliorare tecnicamente! 
    Lo svantaggio è che le parti non ricorrono ai vari trucchetti che facilitano l’esecuzione sulla chitarra e spesso devo sudare per trovare diteggiature adatte a riproporre il pezzo originale senza slogarmi le dita ed i polsi… alcuni pezzi li ho dovuti studiare per un paio di mesi prima di riuscire a suonarli.
    In sala le cose cambiano molto: per prima cosa faccio sentire il pezzo a tutti, di solito si organizza una riunione, si discute e si decide se vale la pena svilupparlo (pizza e birra sono fondamentali per incoraggiare la decisione ;p ); se viene approvato fornisco a tutti le basi ed alle successive prove si comincia a suonare le varie parti della canzone, senza mai suonare tutto per intero, ma concentrandosi sui passaggi che man mano diventano più naturali e maturi. Alla fine il pezzo finito viene fuori da solo e si tratta di suonarlo fino a che non acquista la giusta naturalezza. A quel punto ci si registra e riascolta, concentrandosi sia sul particolare che sull’insieme. Ovviamente in tutto questo lavoro di gruppo vengono fuori le personalità di ogni musicista sotto forma di ulteriori arrangiamenti, modifiche alla struttura o parti intere di brano in più (ma anche in meno), se così non fosse non avrebbe senso suonare in una band.
    A volte capita che restino passaggi poco definiti o completamente scarni; il più delle volte tento di suonarli all’inifinito finchè non viene fuori qualcosa di più convincente. Nel caso non venga fuori proprio un bel niente capita di tagliare la parte o sostituirla con un’altra, o ancora di aggiungere qualcosa in più che inizialmente non avevamo pensato.

    Approccio “da spiaggia”
    Dopo tanta complessità, piccola parentesi rilassante, ecco il metodo più semplice per un brano facile ed orecchiabile, si parte da un giro armonico e lo si suona finchè il cantante non caccia fuori una melodia convincente, poi si passa ad un altro giro variando il precedente e si decide quale dei due è più adatto a diventare un ritornello e quale una strofa. L’affinamento avviene suonandolo di continuo e aggiungendo elementi nuovi al pezzo, sia strutturali (intro, assoli, variazioni, bridge, finali), sia arrangiando le parti in modo più raffinato che non facendo strumming sull’acustica. A dispetto del modo poco entusiastico con cui lo presento, questo metodo è molto utile ed efficace proprio nella composizione di gruppo: innanzitutto permette di avere da subito qualcosa su cui suonare e divertirsi, la struttura semplice e immediata permette a ciascuno di arricchire le parti con le proprie idee (salvo poi rivedere il tutto per evitare di fare un pasticcio di musicisti che suonano tutti per conto loro) e quindi di consentire a tutti i musicisti del gruppo di far parte del processo creativo partendo dal presupposto che più persone possono avere più idee buone.Questi sono i metodi che mi sono trovato “empiricamente” ad usare negli anni. Ma scelto il modo, manca sempre il nocciolo fondamentale della questione: dove prendo l’ispirazione iniziale?
    Ne parleremo nella prossima puntata, a presto musicoffili!Roberto “Robyz” SannaLink alla Pt.1