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La parabola post grunge dei Puddle of Mudd

Successo e declino sull'onda degli eccessi e delle dipendenze: un'altra storia all'insegna delle caratteristiche del grunge è quella dei Puddle Of Mudd.

Successo e declino sull’onda degli eccessi e delle dipendenze: un’altra storia all’insegna delle caratteristiche del grunge è quella dei Puddle of Mudd.

È tuttavia una parabola che, oltre a essere naturalmente molto meno nota, si avvia in netto ritardo rispetto a quelle più celebri dei vari Kurt Cobain o Layne Staley.
Nè si può negare che proprio da questo genere di personaggi abbia preso spunto l’esperienza musicale di Wes Scantlin, vocalist e chitarrista di Kansas City che può essere ritenuto a tutti gli effetti come il volto e l’essenza di questa band che fece brevemente furore agli inizi del millennio.

Già, perchè l’album “Come Clean” (pubblicato nell’agosto del 2001) fu tale da regalare ai Puddle of Mudd almeno un paio di hit che gli appassionati dell’allora neonato filone post grunge mainstream ricorderanno di sicuro: l’edulcorata e leggera “She Hates Me” e la premiata ballad dalle tinte acustiche “Blurry“.

Basta fare un passo indietro di qualche anno da allora per risalire alle origini della band, il cui nome (letteralmente “pozzanghera di fango“) prende ispirazione dalle condizioni delle rive del fiume Missouri presso il quale il gruppo aveva la sala prove.

Fondati agli inizi degli anni ’90 (in piena epoca “Nevermind”), i Puddle of Mudd nel nucleo originario pubblicarono un EP e un album prima di sciogliersi nel 1999. Nel frattempo, Scantlin sembrava aver smosso mari e monti per dare notorietà al suo progetto, e in qualche modo tanto impegno deve aver funzionato perchè una demo della band arrivò finalmente a Fred Durst, frontman dei Limp Bizkit con velleità di talent scout.

Quando Durst riuscì a mettersi in contatto con ciò che rimaneva dei Puddle of Mudd, vale a dire il solo Wes Scantlin, lo convinse con poca fatica a installarsi in California per riformare la band con nuovi elementi, reclutando il polistrumentista Doug Ardito (autore sembra del noto riff acustico di “Blurry“) al basso, Paul Phillips alla chitarra solista e Greg Upchurch (già in tour con Chris Cornell, tanto per ingrassare la connessione con il grunge vero) alla batteria.

Con questa lineup la band pubblicò il suo primo album sotto una major, vale a dire “Come Clean”, che è storia più o meno nota.

Look studiato il giusto, approccio vocale decisamente ispirato ai mostri sacri del decennio precedente e musica interessante nel suo genere, seppur chiaramente influenzata (provate ad ascoltare il brano “Never Change” e diteci quali canzoni vi vengono in mente…), Scantlin aveva sulla carta tutte le caratteristiche della rockstar del nuovo millennio, come effettivamente confermato dal clamoroso successo commerciale di “Come Clean” e da quelli meno roboanti dei successivi “Life on Display“, che pure fa ricordare un paio di tormentoni, e “Famous“.

Tuttavia erano evidentemente tracciati anche i lati negativi del personaggio rock, vale a dire gli eccessi, le dipendenze e i guai con la legge. Già dai primi tempi della sua esperienza con la nuova formazione l’artista si era infatti distinto per momenti negativi sia sul palco (abbastanza clamoroso l’episodio in cui si dichiarò incapace di suonare e fu lasciato dal resto del gruppo a “esibirsi” da solo on stage) che fuori, incidenti che presumibilmente contribuirono non poco sia al calo delle vendite che alla graduale fuoriuscita dai Puddle of Mudd degli altri tre componenti.

Nonostante le defezioni dei membri storici e lo scarso riscontro commerciale (in meno di dieci anni si passò dalle oltre 5 milioni di copie di “Come Clean” alle circa centomila di “Vol.4 Songs in the Key of Love and Hate” del 2009), la band ha continuato a esibirsi dal vivo, in particolare negli USA, sull’onda dei successi dei primordi, anche se i gravi problemi di Scantlin con l’alcol e ripetute accuse di performance in playback sembrano aver fatto più scalpore dell’attività musicale del gruppo.

Ma non c’è storia, bella o brutta che sia, alla quale si neghi la possibilità di un finale positivo. È dunque all’insegna dell’hashtag #sober (“sobrio”), in più di un’occasione di recente accompagnato ai post social della band, che Wes Scantlin e i Puddle of Mudd hanno annunciato il primo LP in dieci anni (se si esclude l’album di cover “Re:(disc)overed” del 2011): intitolato “Welcome to Galvania“, il disco uscirà ufficialmente il 13 settembre ma è già stato anticipato dall’orecchiabile brano “Uh Oh“.

Il tempo dirà se questo nuovo capitolo rappresenterà soltanto una voce in più sulla pagina Wikipedia dei Puddle of Mudd o se stavolta per davvero, dopo quasi vent’anni divisi tra successi ed eccessi, Wes Scantlin sia finalmente riuscito a trovare la strada sana dell’essere una star del rock.