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Ultime uscite: Noel Gallagher, King Krule, Ibeyi e Clementine

Era la sfida dell'anno, quella che tutti aspettavano: il testa a testa musicale tra i fratelli Gallagher. La risposta di Noel al rispettabile esordio di Liam, As You Were, non si è fatta attendere, e dopo qualche settimana si palesa con il nome di Who Built The Moon?. Il terzo album solista dell'ex-Oasis e dei suoi Hi

Era la sfida dell’anno, quella che tutti aspettavano: il testa a testa musicale tra i fratelli Gallagher. La risposta di Noel al rispettabile esordio di Liam, As You Were, non si è fatta attendere, e dopo qualche settimana si palesa con il nome di Who Built The Moon?.
Il terzo album solista dell’ex-Oasis e dei suoi High Flying Birds (che ora comprendono tra le loro fila anche il batterista Chris Sharrock e il chitarrista Gem Archer, membri dell’ultima formazione della band di Manchester prima dello scioglimento) delude però le aspettative. Dopo due interessanti Ep con una ragione d’essere relativamente indipendente dalla passata carriera di The Chief, queste dieci tracce altalenano tra il glam-rock e lo psichedelico, prodotte discretamente ma che deludono le aspettative, risultano troppo spesso banali e poco interessanti, a tratti imbarazzanti se si pensa al fatto che sono figlie di chi ha definito il Brit-Pop (il singolo Holy Mountain, It’s A Beautiful World o If Love Is The Law sono esempi evidenti). 

La sperimentazione ed il tentativo di fare un passo in avanti ci sono ma il bersaglio non viene centrato. Non mancano pezzi rispettabilissimi, come l’intro strumentale Fort Knox o The Man Who Built The Moon, ma è palese come, se pur giocando su un campo più semplice rievocando molto i tempi andati, il match l’abbia vinto il fratello minore. 1-0 palla al centro. 

KING KRULE – THE OOZ

Il giovanissimo Re dai capelli rosso fuoco riprende in mano lo pseudonimo di King Krule dopo un disco con il suo nome di battesimo, Archy Marshall, e dimostra come a 23 si può insegnare molto alla scena musicale. The OOZ è un viaggio notturno in un deserto onirico, una sensazione di smarrimento e curiosità fatta suono, merito dell’ipnotico stile di Krule che riesce ad amalgamare Jazz, Blues, Rock e Post-Punk senza mischiare e senza stuccare.
La voce del giovane Marshall guida l’ascoltatore sperduto tra le vibrazioni rievocando un Joe Strummer enigmatico, sexy ma arrabbiato; Joy Division ebbri di elettronica. Il terzo album di King Krule è la conferma che il futuro dell’indie (e non solo) avrà due lettere fisse di riferimento: K.K.

IBEYI – ASH

Figlie d’arte del percussionista dei Buena Vista Social Club, le sorelle Diaz (“Ibeyi” in lingua Yoruba significa proprio “gemelli”) tornano sotto i riflettori dopo l’omonimo esordio tanto acclamato dalla critica per essere stato un mix spiazzante: è infatti la capacità di mescolare ritmi etnici e beat contemporanei la chiave del successo del duo, mantenendo salde le radici cubane e guardando al mondo moderno.
Ash è un tentativo di crescita delle sorelle rispetto al primo lavoro, come dimostrano le diverse collaborazioni (Kamasi Washington nel brano-manifesto “Deathless” ne è un esempio), i nuovi elementi introdotti, dai sottofondi recitati ed i discorsi di Michelle Obama mixati ai testi di denuncia. 

Le due hanno molto da dire e sicuramente sentiremo ancora parlare di loro (persino Beyoncé le ha notate e volute in un suo video), ma Ash non ha abbastanza carattere per spiccare nel panorama della musica word contemporanea, sembrando “solo” un esperimento di contemporary R&B riuscito a metà ma sulla giusta strada per crescere.

BENJAMIN CLEMENTINE – I TELL A FLY

Se già con il disco d’esordio del 2014 si era dimostrato una tra le figure più eccentriche ed ecclettiche della scena musicale contemporanea, con I Tell A Fly Benjamin Clementine spicca il volo svincolandosi da qualsiasi canone che può incatenare un artista moderno. Poeta, musicista e cantante fin da bambino, l’ex clochard ha confessato con largo anticipo alla stampa che questo secondo disco avrebbe venduto meno del primo, e dopo il primo ascolto è palese il perché. Le 11 tracce si figurano come la colonna sonora di due mosche che, ronzando (come afferma Clementine stesso), scoprono il mondo, tra sensazioni ed orrori. 

Un clavicembalo Rococò accompagna per mano le odi, i momenti intimi e le dure immagini in diretta dalla realtà (fantasmi dalla Siria e migranti sulle coste). Un’opera di progressive pop che proietta la visione del mondo di Clementine nella testa dell’ascoltatore (e vedere il mondo con gli occhi di qualcun altro può essere tanto illuminante quanto sgradevole).
Le sensazioni che I Tell A Fly trasmette sono innumerevoli, dallo smarrimento all’illuminazione, è come andare su di un’altalena in un museo impressionista; ubriachi. Un disco che ha bisogno di tempo per essere compreso, rischiando però di rimanere indecifrabile per sempre.

Per tutti e per nessuno.