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Albert Einstein, John Coltrane e la scoperta di un nuovo universo

Albert Einstein ha rivoluzionato il nostro modo di guardare l'universo che ci circonda. John Coltrane ha fatto lo stesso in musica e probabilmente le teorie dei due geni sono legate più di quanto si pensi.

Albert Einstein ha rivoluzionato il nostro modo di guardare l’universo che ci circonda. John Coltrane ha fatto lo stesso in musica e probabilmente le teorie dei due geni sono legate più di quanto si pensi.

Il secolo scorso è stato forse il più importante periodo per il progresso scientifico dell’umanità, soprattutto nel prendere coscienza della realtà che ci circonda, di come funzionano alcune leggi fisiche che prima ignoravamo.
A monte di questo enorme progresso c’è un nome sopra tutti gli altri, Albert Einstein, padre della Relatività e non solo, visto che ebbe modo di prevedere molto di ciò che eminenti fisici e matematici dopo di lui riuscirono a dimostrare.

Einstein ha letteralmente scosso non solo la comunità scientifica, ma anche l’animo umano a tutti i livelli, consegnando ai nostri occhi una visione del mondo e delle leggi che governano la nostra esistenza totalmente diversa. Ha mostrato limiti a cui non potremmo mai tener testa, ma allo stesso modo un mare di nuove possibilità cambiando il nostro punto di vista.

John Coltrane è l’esatto parallelo in musica: in un mondo incatenato in una specifica visione melodica e/o armonica, così come ai tempi del fisico tedesco le leggi di Newton erano ritenute le uniche e sole regolatrici della realtà, Coltrane ha indicato una nuova strada, assai impervia certo, ma allo stesso tempo rivelatrice di confini creativi posti ben più lontani di quanto si pensasse.

Ma cosa hanno davvero a che fare, al di là dell’affascinante parallelo tra le due figure nei diversi ambiti matematico-fisico e musicale, le teorie di Einstein con quelle di Coltrane? C’è qualcosa di più che li lega, c’è effettivamente qualcosa che, nero su bianco, rende chiari punti in comune chiaramente identificabili?

Di questo si è occupato il Professore e Astrofisico, nonché sassofonista, Stephon Alexander, racchiudendo il suo pensiero in un libro intitolato The Jazz of Physics, edito nel 2016. 
In questo libro, si mette sotto i riflettori innanzitutto quella che è la più famosa teorizzazione di Coltrane sul circolo delle quinte, riportando un suo stesso disegno che è oramai diventato famoso tra musicisti e appassionati.

John Coltrane - Circolo delle quinte

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Iniziamo dal racconto che lo stesso Stephan Alexander fa nel suo libro, in relazione al suo incontro telefonico con Yusef Lateef, musicista e compositore jazz, nonché Professore all’Università del Massachusetts, che fu molto vicino a Coltrane. Il grande sassofonista consegnò proprio a Lateef lo schizzo originale che enunciava il suo nuovo, rivoluzionario, metodo di concepire intervalli, modulazioni e un po’ tutta la composizione e improvvisazione musicale, schizzo che vedete in foto e che ancora oggi è causa di notti insonni per qualsiasi aspirante jazzista.
Fu da questa rivoluzione, del resto, che nacquero capolavori assoluti come Giant Steps, con le sue vorticose improvvisazioni, o A Love Supreme.

Se dapprima Lateef fu assai diffidente nel parlare al telefono con uno sconosciuto, tutto si chiarì proprio nel momento in cui Alexander nominò questo disegno. Seguirono un paio d’ore di conversazione a ruota libera, riportate nel libro e che mostrano molto bene quanto Coltrane fu un genio del suo tempo (e quanto lo sia ancora).

Le sue teorizzazioni musicali vengono messe in parallelo con la fisica quantistica, con la gravità e il nostro sistema planetario. D’altronde, che Coltrane fosse un estimatore di Einstein non è un mistero, si sa che era un avido lettore di molte delle teorie scientifiche del suo tempo, anche se sempre intrecciate con una visione molto spirtuale e metafisica, cosa che si riflette nella sua stessa musica, che a un certo punto tende lo sguardo a un piano superiore che non è così facilmente identificabile in una singola “divinità” ma in qualcosa di ben più complesso (benché Lateef affermi che A Love Supreme avrebbe potuto intitolarsi “AllahSupreme, ).

Un interesse per la gravità si può ravvisare in maniera assai specifica in Coltrane, dal momento che se ci pensiamo un attimo la stessa tonalità di un brano è in effetti un centro gravitazionale che attira più o meno le altre note a seconda della vicinanza ad esso. Il parallelo con il nostro sistema di pianeti è piuttosto intuibile.
Ecco quindi che Coltrane decide di viaggiare tra “pianeti” molto lontani in maniera immediata, studiando il suddetto circolo e creando quel famoso schema a triangoli. Si può dire che i lati di questi triangoli, che provocano modulazioni così repentine, siano dei veri e propri ponti di Einstein-Rosen, cunicoli spazio-temporali che teoricamente permetterebbero appunto di passare velocemente da un punto dell’universo ad un altro.

Torniamo ad Alexander e Lateef. Nella loro chiacchierata la correlazione tra struttura della musica e architettura dell’universo viene fuori a più riprese. Così come viene fuori la capacità sia di Einstein che di Coltrane di pensare attraverso le forme geometriche, di vedere le proprie teorie realizzarsi davanti a i propri occhi, mentalmente. E forse non è un caso che anche Einstein fosse un musicista, sapendo suonare violino e pianoforte. Lo stesso Einstein affermava di vedere nella musica di Mozart, ad esempio, una stretta connessione con la bellezza delle leggi dell’universo.
Entrambi quindi sapevano quanto fisica e musica fossero interconnesse, sin dai tempi del greco Pitagora. Pensieri del resto abbracciati anche da altri jazzisti come Thelonius Monk e Miles Davis, per i quali il jazzista ha molti punti in comune, anche senza saperlo, col matematico.

Ecco quindi la convinzione del Professor Alexander sul poter vedere chiaramente delle strette connessioni tra i principi geometrici che regolano il diagramma di Coltrane con quelli che disegnano le teorie di Einstein.
In generale, Alexander vede molti paralleli tra jazz e fisica, considerando anche quella dei quanti. In particolare nella correlazione tra le particelle che si muovono attraversando tutti i possibili percorsi e l’improvvisazione dei musicisti jazz che gioca su tutte le possibili note della scala. E in questo senso, ovviamente, l’enorme balzo in avanti compiuto da Coltrane nelle improvvisazioni su “Giant Steps”.

D’altronde David Amram, musicista e compositore, racconta di come Coltrane gli abbia parlato una volta delle teorie di Einstein sui pianeti, i buchi neri, le simmetrie nel sistema solare, lodando Einsten per come avesse spiegato una simile complessità in un modo (si fa per dire…) così semplice.
E, ci dice Amram, questo è quello che anche Coltrane aveva in mente di fare, collegandosi alle tradizioni di blues e jazz per concepire un modo differente di vedere la natura della musica.
Trascendere con immagini mentali, quindi, le complessità così come il fisico tedesco – poi naturalizzato americano – era solito estraniarsi dai limiti matematici ancora non sorpassati per arrivare alle sue intuizioni sulla fisica.

Ecco quindi tornarci prepotentemente davanti quel diagramma abbozzato su un foglio, che adesso possiamo ammirare con altri occhi in tutta la sua bellezza.
Musica, bellezza, poesia, matematica, universo, tutti elementi legati indissolubilmente da un’armonia comune.

Si può dire a tutti gli effetti, in fondo, che Albert Einstein usasse spesso la musica come ispirazione e panacea per anima e mente durante i suoi complessi studi matematici e fisici. E che Coltrane usasse la matematica di quest’ultimo come ispirazione al suo nuovo modo di vedere la musica e il ruolo del musicista in essa.
Un circolo anch’esso quindi, affascinante, epifanico, bellissimo.

Fonti: