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Pino Daniele, un musicista unico

Immagini di fine anni ottanta. Secondo anno di vita Quando Rockman e SynthAxe non erano nomi di super-eroi e un cantautore napoletano fuori del comune si poteva permettere di dialogare con alcuni dei migliori musicisti internazionali e scriveva delle pagine musicali che ne avrebbero fatto un monumento tutto italiano.

Per la nostra rivista, Chitarre, era un argomento di grande attualità.
Chi era Pino Daniele nel 1987? Era già un personaggio molto noto e aveva collezionato le prime collaborazioni importanti a livello internazionale con artisti del livello di Wayne ShorterGato Barbieri, Richie Havens, Chick Corea, Steve Gadd, Nana Vasconcelos
Aveva pubblicato dischi importanti come Nero a metà o Vai mo’ e scritto canzoni impresse nella memoria collettiva come “Napule è”, “Je so’ pazzo”, “Quanno chiove”.

All’epoca dell’intervista, firmata per la rivista Chitarre da Giuseppe Barbieri, si parlava soprattutto di “arab-rock”, delle contaminazioni etniche che conferivano un sapore esotico alla musica già di per sé intrigante del musicista napoletano.
Nel suo percorso Pino aveva affrontato con coraggio vicino alla sfrontatezza il rock, il blues, il rhythm & blues, la canzone napoletana, la musica soul e anche il jazz moderno.

Quanti altri artisti italiani sono stati capaci di unire con altrettanta personalità canzone melodica, sentimento ed elementi di carattere internazionale per confezionare musica di alto  livello?

Per non parlare dei testi insaporiti dall’uso di una lingua mista, composita, in cui italiano e dialetto napoletano si fondono con l’inglese fino a diventare qualcosa di unico e originale.

Uscito alla ribalta assieme a un gruppo di validissimi musicisti partenopei, Pino Daniele si è distaccato presto dagli altri per consolidare la doppia immagine di cantautore e strumentista, amato dal suo pubblico per le indimenticabili canzoni, stimato dai colleghi per la classe di chitarrista e compositore.

All’epoca dell’intervista era fresco di uscita dell’album Bonne Soirée, ospite del festival Pistoia Blues..
E di blues Pino ne sapeva qualcosa…

Come e quando hai cominciato?

Ho cominciato intorno ai quindici anni, sai quei gruppi che si mettevano su… e sono diventato professionista verso i diciott’anni, nei night club. Un giorno ho messo su un gruppo serio, che faceva musica abbastanza impegnativa: jazz, un po’ di rock… Poi è venuto fuori Pino Daniele nel ’75-’76. Avevo dei miei pezzi… insomma, scherzando e ridendo facciamo I’LP, una cosa e un’altra e vai avanti.

Cosa ti ha spinto a prendere Ia chitarra in mano, i classici Beatles o…

No, no: c’erano anche i gruppi rock dell’epoca. Cream,Taste, ti ricordi?

Fammi la storia delle tue chitarre.

Di quelle che ho comprato ne ho vendute pochissime, da quando ho cominciato. Avevo una Vox… ti ricordi le Vox?

Quelle a goccia?

Eh, quelle squadrate, con gli effetti dentro, quei distorsori che prendevano la radio… Anzi, la prima è stata una X-27, nera e cromata. Dopo la Vox comprai la Gibson diavoletto. una Standard del ’73 che ho ancora. Ho una Gibson Super-400 a cassa grande, una Charlie Christian, la Firebird che ho preso adesso e una Les Paul con i pickup piccoli…

Dove hai trovato quella Firebird così particolare, con i pickup P-90, le ‘saponette’?


Qui in Italia. Bello strumento davvero.

Parlíamo un po’ di suoni: ieri ti ho visto sul palco con un Rockman che però… ti dava qualche problema?


No, non era il Rockman, è stato il radio-jack. Quando faccio queste cose al volo uso il Rockman. Quando c’è più calma uso un Rockman a rack che mi facilita la vita, perché poi sul palco devo pure cantare… però ha un bel suono il Rockman, non trovi?


Sì, ma poi dal Rockman dove vai, nel Marshall o nell’ímpianto?


Vado nel radio-jack e poi direttamente nel Marshall. Per “tirare” mi serve proprio il Marshall.

Che chitarre hai usato sul disco?

Il Firebird, solo lui. Poi la Roland synth, per un paio d’interventi.

E la SynthAxe?


La sto studiando. È molto complicata. La collego al Matrix eEmulator.

Vorrei parlare un po’ di questo tuo ultimo disco, cercando dí chiarire qualche particolare chitarristico, musicale: anzitutto questo “arab-rock”, come è stato definito… con queste scale particolari…

Sì, hai sentito anche ieri nel concerto, la musica è un po’ strana, particolare… Sono come melodie napoletane, musica etnica…

Sì, ma… si tratta di una scala precisa?

Una scala con la seconda e quinta bemolle, cioè una… scala napoletana che suona proprio araba. Su un maggiore puoi suonare in minore. Tutta la canzone napoletana è basata sul minore: ci sono delle combinazioni risultanti e in questo ti aiuta il jazz, o la musica classica, I’armonia in genere, che te lo permettono. Per esempio, sei in LA maggiore e suoni in MI minore.

Durante il bis hai fatto un assolo che mi ha fatto sospettare che tu avessi studiato Holdsworth, o questo tipo di chitarristi…

È uno stile un po’ più violinistico.

Esatto! Usi moltissimo i legati.

Legati e arpeggi: maggiori, minori, come sul violino. Sono cose che studio due o tre ore al giorno.

Sul ritornello di “Bonne Soirée” c’è qualcosa di ritmicamente particolare, come il rullante in battere…

Rullante sul battere e cassa in levare. È proprio uno stile di arrangiamento.

Le scrivi tu queste cose o sono affidate all’inventiva del batterista?


No, no, le scrivo io e le faccio eseguire, logicamente cercando di spiegare cosa voglio e perché lo voglio. Una cosa è fare “tum- tà”, un’altra è fare “tà-tum,tà-tum”, è più napoletano, tarantellistico.

Volevo parlare un po’ delle armonizzazioni che usi, molto aperte.

Sono quarte, sempre quarte…

“Bonne Soirée”, ad esempio, è molto particolare la sonorità di quel giro con quei rivolti che usi…

Sì, sono delle triadi, sia maggiori che minori o in quarte; con lo stesso accordo puoi girarci attorno. Anche le soluzioni di tipo arabo… sono dei minori che hanno come basso la terza: portando la terza al basso hai nell’accordo maggiore un accordo minore, mantenendo sempre le tre note.

Ma tu tieni le stesse tre note e lasci la tonica al basso o…

No, no, I’accordo fa cambiare il basso. La nota bassa che mi serve la metto io; il bassista può intervenire con una nota differente, garantendo un’armonia particolare. Infatti pure “Mamma oh, Mamma oh” ha un’armonia tutta speciale. Non sono accordi tipo settime, none… accordi tradizionali, insomma.

Comunque tu mi dici che queste cose ti vengono, più che della scuola americana, da uno studio di tipo etnico. Dove ti documenti?

Con i dischi di musica orientale, sugli spartiti, con le ricerche sulla musica classica napoletana antica.

Per leggere l’intervista originale con gli esempi da suonare, acquista Chitarre n.19 in versione digitale scrivendo a [email protected].