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Scott Joplin e Will Marion Cook

Dopo aver spostato la nostra attenzione sul suolo americano è giusto dare spazio a quella che sarà sicuramente una delle novità più importanti per quanto riguarda la concezione della produzione musicale a livello internazionale, soprattutto tenendo sempre a mente il ruolo centrale fra le potenze mondiali che gli U.

Dopo aver spostato la nostra attenzione sul suolo americano è giusto dare spazio a quella che sarà sicuramente una delle novità più importanti per quanto riguarda la concezione della produzione musicale a livello internazionale, soprattutto tenendo sempre a mente il ruolo centrale fra le potenze mondiali che gli U.S.A. andranno ottenendo nel giro di pochi anni.

La nascita di un universo circoscrivibile come “composizione afroamericana” rappresenta indubbiamente un passo importantissimo per il ‘900 musicale, per rintracciarne le origini è obbligatorio passare per il nome di Scott Joplin, re del ragtime. Nato in Texas, mostrò fin da giovane predisposizione e interesse per la musica, ma non ebbe mai un’educazione accademica. “Maple Leaf Rag (1899) e “The Entertainer (1902) sono i due brani che hanno dato immortalità al nome del compositore, passato alla storia come il più importante apporto al genere rag. Il termine ragtime deriva da ragging, lemma di gergo con cui i neri erano soliti definire il proprio stile di ballo.

Scott Joplin e Will Marion Cook

Il ragtime è una composizione che nasce sul pianoforte trovando il proprio centro nel contrasto fra la mano sinistra e la mano destra. Il ritmo è solitamente binario, 2/4, 4/8 o 2/2, e, mentre il basso della mano sinistra porta il tempo in maniera regolare, la mano destra sviluppa una melodia sincopata che diviene il tratto distintivo del genere. La sincope come elemento costitutivo della melodia è caratteristica che deriva direttamente dalla libertà ritmica dei canti afroamericani, ed è ciò che provoca la tipica elusione dell’aspettativa dell’ascoltatore.

Joplin dedicò gli ultimi anni della sua vita al tentativo di far rappresentare l’opera “Treemonisha“, nella quale bel canto e ragtime si fondevano in una miscela alquanto temeraria.
Joplin non la vide mai rappresentata se non in forma concerto, la vera première arriverà soltanto molto più tardi, il 27 gennaio del 1972 ad Atlanta. Joplin, affetto di sifilide, morì pazzo nel 1917.

Will Marion Cook era altro tipo di musicista e compositore rispetto a Joplin. La sua vita è pressoché misconosciuta, se ne hanno poche e incerte informazioni, ma sicuramente si può affermare che Cook fu un uomo battagliero, di carattere ferreo ma fu soprattutto un grande violinista. Will Marion Cook fu ammesso all’Oberlin, uno dei pochi college americani che i neri avevano il permesso di frequentare insieme ai bianchi. Dall’Oberlin Cook finì presto a studiare nella culla della musica tedesca.

Venne ammesso alla Berlin Hochschule für Musik, dove conobbe un ancor giovane Richard Strauss e nientemeno che il grande Brahms, in visita nel 1889 per il cinquantenario della scuola. 

Paradossalmente Cook si trovò bene in Germania, sperimentando una sensazione di libertà che in patria gli era negata. In terra germanica “la vista di un violinista nero era evidentemente troppo esotica per suscitare paure xenofobe” (1).
Tornato negli Stati Uniti, dove la diffidenza che l’ambiente musicale aveva per il colore della pelle scura si fece risentire subito, fondò la William Marion Cook Orchestra e iniziò subito a lavorare ad un’opera basata su “La capanna dello zio Tom” di Harriet Beecher Stowe.

Scott Joplin e Will Marion Cook

Con una lettera di presentazione ad Antonin Dvořák, Cook fu invitato a studiare al Conservatorio di New York, ma svariati episodi riguardanti scontri a sfondo razzista posero presto fine alla carriera classica di Cook, come violinista e come compositore. William Marion Cook trovò quindi la sua strada in altro modo. Nel 1898 debuttò con “Clorindy, or The Origin Of Cakewalk“, varietà musicale cui collaborò insieme a Paul Laurence Dunbar.

Nel genere del musical Cook trovò molta fortuna, tanto da anticipare con i suoi lavori quello che sarà definito successivamente il Rinascimento di Harlem, movimento artistico che diede piena prova intorno al 1925. Cook anticipò l’ideale alla base del risveglio artistico di Harlem (chiamato “Rinascimento di Harlem” per l’importanza che la musica aveva avuto nel Rinascimento europeo), la volontà di riutilizzare gli insegnamenti dei maestri europei per trovare una propria via in musica.

Con la sua William Marion Cook Orchestra, Cook non riuscì mai a trovar spazio nel jazz, la cui natura “improvvisativa” non concordava con la sua formazione classica, fu questo uno dei motivi per cui s’interessò ad altre sonorità, in particolare quelle che fluivano dall’arrembante scena di New Orleans. Fra i tanti Cook ingaggiò nientemeno che un giovanissimo Sidney Bechet, virtuoso sassofonista e clarinettista che troverà successivamente un posto d’onore nell’Olimpo del jazz. Will Marion Cook ha posto la pietra angolare per lo sviluppo della “vena nera” in un’ottica musicale nazionale, dando prova a tutti gli effetti di una realtà fino ad allora impensabile per la mentalità musicale “bianco-centrica”.

La musica colta è appena nata in America. L’uomo afroamericano sta trovando se stesso. Ha rinunciato alle puerili imitazioni dell’uomo bianco. Ha scoperto che un approfondito studio dei maestri permette di comprendere ciò che ha valore e come crearlo“: sono parole forti queste di Cook, parole che danno voce ai germogli d’un cambiamento fra i più dirompenti che la storia musicale conosca.

La crescita e lo sviluppo dell’impero americano cambieranno completamente il corso degli eventi. Il modo in cui oggi concepiamo, ascoltiamo, componiamo e studiamo la storia musica è direttamente legato alla crescita e diffusione del potere culturale americano nel corso del XX secolo.

Note:
(1) Alex Ross, Uomini invisibili. Will Marion Cook, in Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, p.208, III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013.

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