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Mark Lanegan Band – Gargoyle

Dal rispolverare i New Order di Power, Corruption & Lies al ricadere nelle languidezze oscure dei Bauhaus basta un attimo, e un attimo è bastato perché Mark Lanegan passasse da un capo all'altro della sezione "new wave" della sua collezione.

Dal rispolverare i New Order di Power, Corruption & Lies al ricadere nelle languidezze oscure dei Bauhaus basta un attimo, e un attimo è bastato perché Mark Lanegan passasse da un capo all’altro della sezione “new wave” della sua collezione.

Con quella copertina che stilizza motivi gotici e quel titolo sinistro, Gargoyle – pubblicato su etichetta Heavenly/Cooperative – rappresenta un’ulteriore manifestazione del nuovo corso della sua band, ancora intenta a bazzicare i dintorni dell’elettronica krauta con Alain Johannes saldo alla produzione.
Qualche concessione in più all’immaginario fosco che la voce dell’ex Screaming Trees si porta costantemente appresso, spinge il disco sui  versanti dark più dei predecessori – ma non sono che piccole scosse di assestamento.

Mark Lanegan Band - Gargoyle

La vera novità sta nel coinvolgimento di Rob Marshall, già chitarrista degli inglesi Exit Calm, un nome che ai più da questa parte della Manica non dirà molto.
Magari non sarà proprio il più illustre tra i numerosi collaboratori collezionati da Lanegan, eppure è grazie al suo contributo che arriva la chiave di volta per la riuscita dell’album. 

Sei canzoni su una scaletta di dieci portano la firma di Marshall, e non a caso sono quelle che più si emancipano dai territori famigliari al titolare, disegnando per lui tonalità insolitamente alte, linee vocali semplici, di un pop cristallino, che il cantante riesce a fare proprie con incredibile disinvoltura e infine a integrare nel mood generale. 

Il risultato è un lavoro assai più memorabile rispetto al precedente Phantom Radio (2014) e dall’animo ben più “british” di Blues Funeral (2012) – a ulteriore dimostrazione che il Lanegan di oggi, quello che si produce in decine di featuring all’anno e raccolte di cover non proprio necessarie, è più interessato a testare le proprie qualità di cantante che non quelle di autore.
Certo, si potrà obiettare il fatto che il nostro “laneganizzerebbe” tutto ciò che gli passa per le mani, elenchi telefonici compresi, ma è anche da questa abile gestione della monotonia che si riconosce il mestiere del grande interprete. 

Simone Dotto

Tracklist:

01. Deaths Head Tattoo
02. Nocturne
03. Blue Blue Sea
04. Beehive
05. Sister
06. Emperor
07. Goodbye To Beauty
08. Drunk On Destruction
09. First Day Of Winter
10. Old Swan

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