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Phil Palmer: il 90% dei concerti è in playback

Sembra una dichiarazione "shock" quella fatta da Phil Palmer ai microfoni di Red Ronnie: "Il 90% dei concerti sono in playback". Ma un attimo, c'è differenza...

Sembra una dichiarazione “shock” quella fatta da Phil Palmer ai microfoni di Red Ronnie: “Il 90% dei concerti sono in playback“. Ma un attimo, c’è differenza…

Phil Palmer è senza dubbio uno dei nomi storici della storia della chitarra e della musica, ha suonato con Eric Clapton, Dire Straits, Bob Dylan, Iggy Pop, George Michael, Tina Turner, Pete Townshend e Roger Daltrey dei The Who, Trevor Horn ,Bob Geldof, ecc..
In Italia ha collaborato con Pino Daniele, Renato Zero, Eros Ramazzott, e suo è l’assolo su “Il nastro rosa” di Lucio Battisti.
Ad oggi si esibisce in tour con i Dire Straits Legacy.

Ebbene, nei momenti prima dell’inizio della trasmissione “Il Barone Rosso” di Red Ronnie, il conduttore gli chiede di ripetere qual è la cifra da lui stimata dei concerti attuali in full playback o half playback. 
90% risponde Palmer, una cifra che fa rabbrividire.

Certo, però bisogna fare delle distizioni, intanto che significa “half playback“?.

Si definisce “half playback” uno spettacolo live in cui una parte della band non suona realmente, per alcune parti musicali (o addirittura ruoli sul palco) vengono utilizzate delle registrazioni

Ora, capiamo bene la differenza tra l’uso e l’abuso, introducendo il termine “sequenze“, cioé tracce audio pre-programmate e temporizzate sul click del brano seguito dai musicisti.

Non tutti, infatti, possono permettersi di portare la totalità del lavoro di studio in tour. Basti pensare a parti che richiedono un numero nutrito di strumentazioni e/o di musicisti, se non addirittura intere (o parziali) orchestre.
In tal caso, anche per venire incontro in senso economico (e onestamente non ci vediamo nulla di male) alla produzione del tour, si preferisce portarsi dietro appunto delle sequenze preprogrammate e gestite attraverso un computer.

Oppure, ci sono necessità scenografiche per cui il palco vuole dare spazio ai soli musicisti della band oppure lo stesso non consente di ospitare molti altri (non tutti hanno i palchi degli Stones…). O magari il contrario, ci piace far vedere una piccola orchestra dietro la band/artista ma poi si preferisce “isolare” i suoni usando gli originali per esigenze di produzione o timori di varia natura tecnica.
Oppure ancora, un determinato suono/strumento è solo su un singolo brano, per cui è davvero poco produttivo portarsi dietro un musicista e tutta la sua strumentazione per un singolo contributo.
E così via… tutte esigenze che traggono beneficio (e ben venga!) dalla tecnologia moderna.

Ma del resto è utile ricordare che proprio i The Who, con cui Palmer stesso ha suonato, già negli anni ’70 si portavano dietro un registratore a nastro da attivare per le parti di sintetizzatore di “Baba O’Riley” e “Won’t Get Fooled Again”, una sorta di preistoria delle sequenze (per quello vedete Keith Moon indossare delle cuffie, in cui aveva il click di riferimento).
E non furono certo i soli all’epoca e nei periodi successivi…

C’è poi l’abuso, ovviamente, quello che non dovrebbe mai accadere, l’half playback come finzione. Ma accade, sin troppo spesso…
Cioè che i musicisti siano sì presenti sul palco, ma che facciano finta di suonare, coperti dalle tracce registrate in studio.
Oppure cantanti che per qualche motivo (insicurezza, malessere o… peggio…) non siano in grado di cantare i brani o taluni brani o parti di brano, e abbiano bisogno di un “aiutino” (senza contare il drammatico uso di certi autotune).

Ecco, in questo caso è giusto adirarsi, poiché se si è pagato (e magari caro!) un biglietto per una performance, non ci si aspetta di vedere uno spettacolo di illusionisti… ma di musicisti!

Non parliamo ovviamente poi del “Full Playback”, ovviamente deprecabile in ogni caso. Teniamo in sospeso il caso delle “esigenze televisive” alle quali spesso gli artisti devono sottostare anche contro il loro volere. Vi ricordate ad esempio il caso dei Muse proprio qui in Italia?
Fuori dalla TV, certo, può capitare una volta per qualche motivo specifico e improvviso e ci sono produzioni milionarie che non si possono permettere di perdere una data, magari sold out… ma è davvero questa una giustificazione plausibile?

A voi il dibattito!