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10 video per ricordare Bon Scott degli AC/DC

Oggi Bon Scott avrebbe festeggiato il compleanno e siamo più che sicuri che sarebbe stato ancora su un palco degli AC/DC a fare fuoco e fiamme con Angus Young.

Pur tuttavia questo nostro pensiero (lo ammettiamo, molto vicino a una fantasia da fan…) è stato messo in discussione lo scorso anno dal giornalista Jesse Fink, autore del libro Bon: The Last Highway, secondo il quale nell’ultimo periodo della sua vita Bon Scott era piuttosto depresso, sul confine di lasciare la band nonostante il suo forte coinvolgimento nell’album che lo avrebbe consacrato nell’olimpo del rock, Back in Black, e neanche troppo aiutato dai suoi stessi compagni di band.

Secondo quando scrive Fink, tra l’altro, l’ultima notte di festeggiamenti del cantante, conclusa così tragicamente, sarebbe partita dalla soddisfazione di aver concluso il testo della canzone “You Shook Me All Night Long“, oggi uno degli inni della band.

Ma decisamente, nel giorno del suo compleanno, non vogliamo pensare alle ultime ore di vita, bensì agli anni migliori, quelli nei quali ha contribuito al successo di un gruppo che oggi è tra i più seguiti e amati di sempre.

Disco dopo disco, si può notare una costante evoluzione di Scott, ogni volta un passo avanti e un miglioramento delle sue capacità vocali, incisione dopo incisione, con il punto massimo in Highway to Hell, che contiene brani che ancora oggi fanno tremare le gambe a più di un cantante rock, non solo per l’esecuzione tecnica ma, soprattutto, per la corretta interpretazione.
Devi avere il fuoco dentro e Bon(fire) quel fuoco ce l’aveva, eccome.

La sua storia e quella del band inizia nel 1975, con uno scatenato rock’n’roll à la Chuck Berry, da sempre idolo dei fratelli Young. Si intitola “High Voltage” e la voce graffiante di Scott ha l’esatta carica e “irriverenza” necessarie a un brano del genere.
Nell’era in cui il progressive rock sta tramontando e il fenomeno punk esplode in Inghilterra e Stati Uniti, arriva dall’Australia un gruppo con un chitarrista vestito da scolaretto (ancora in bianco!) che propone un sound anni ’50 con gli steroidi, una sfida niente male, da discografici coraggiosi!

Nello stesso anno arriva un secondo album, il titolo è esplosivo in tutti i sensi: T.N.T. In effetti il disco è pura dinamite e la canzone che porta lo stesso nome ben lo dimostra. Un ritmo martellante, dei cori quasi da stadio e Scott che canta “Io sono dinamite“. Lo era.

Dirty Deeds Done Dirt Cheap (1976) e la sua copertina prodotta niente meno che dalla Hipgnosis (di cui vi abbiamo parlato nel video in questo articolo) è un album ancora più “grezzo” dal punto di vista del rock’n’roll, tutto è suonato in maniera molto istintiva e dritta in faccia, basti ascoltare brani come “Problem Child” o “Squealer” con il suo furioso assolo finale.
Ma è la title track a diventare un classico immancabile, anche nei live show.

Sia fatto il rock! Con questa frase “biblica” gli AC/DC segnano il 1977. La copertina fa pensare a un disco live, ma è a tutti gli effetti un album studio.
Se gli AC/DC sono una delle più grandi live band del pianeta lo devono anche a questo brano. E bisogna dirlo, Bon Scott lo interpretava in maniera inimitabile.

Il disco si chiude con una canzone che Bon Scott scrive dopo un’esperienza decisamente sopra le righe che coinvolse una signorina un po’ sovrappeso (eufemismo) di nome Rosie con cui il cantante passò una notte in motel.
Ancora oggi tutti i fan aspettano quella canzone nei live, un po’ per la carica al fulmicotone della chitarra di Angus Young, un po’ per l’immenso gonfiabile che ritrae la suddetta, formosa, Rosie.

1978, l’anno di Powerage. Ve lo abbiamo raccontato dettagliatamente in questo articolo.
Con questo album la band inizia a dimostrare che può andare oltre quel sound alla “Chuck Berry dopato”. Benché le fondamenta siano sempre quelle, la vena compositiva si amplia e Scott inizia a gestire la sua voce con maggiori colori e sfumature.
Il singolo che lancia l’album lo dimostra ampiamente.

Il brano più scatenato dell’album è senza dubbio “Riff Raff“. E questo sì che è un brano che, pur basandosi in maggior parte sulla potentissima chitarra di Angus (che esegue forse uno dei suoi assoli più esaltanti), resta proprietà indiscussa delle corde vocali di Bon.

Ci siamo, è il 1979, arriva uno dei dischi capolavoro degli AC/DC. La band è in piena estasi creativa, Bon Scott non ha mai cantato meglio di adesso in studio: nasce Highway to Hell, che sarà purtroppo l’ultimo LP con la sua voce. Un album che praticamente, come il successivo, non ha un brano di serie B in tutta la scaletta.
Il nostro primo assaggio è “Shot Down In Flames“.

In questo disco c’è un brano che ha una genesi davvero particolare, “Touch Too Much“. Nasce con un arrangiamento totalmente diverso da come la conosciamo, anche il riff è diverso, praticamente è un altro brano…
Se la prima versione è decisamente più in linea con l’indole classica della band, la seconda (e definitiva) è giocata con astuzia per essere un brano per nuovi fan, meno legati al rock’n’roll. Ma che dire, anche questa versione più “radiofonica” e rock classica è assolutamente stupenda e meno male che oggi possiamo averle entrambe!

Siamo arrivati all’ultimo brano ed è una scelta forse scontata ma assolutamente rappresentativa: alzi infatti la mano chi non abbia sentito almeno una volta nella propria vita la title track dell’album, quella “Highway to Hell” diventata un vero e proprio inno generazionale anche per merito dell’interpretazione vocale di Scott.

Grazie Bon, ci manchi.