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Pat Martino, addio a una leggenda della chitarra Jazz

Non abbiamo ancora finito di asciugare le lacrime per Franco Cerri che una nuova drammatica notizia scuote il mondo del Jazz e della musica in generale.

Un 2021 davvero da dimenticare per il Jazz, che ha perso tanti dei suoi grandi eroi. In particolare per il mondo della chitarra, che appena un paio di settimane fa ha visto la scomparsa nel nostro connazionale Franco Cerri, colonna portante del Jazz italiano e ovviamente apprezzato anche all’estero.

Non solo, se proprio vogliamo dirla tutta, è notizia di ieri – data per fortuna dallo stesso protagonista della vicenda – che il mito della tromba Enrico Rava è stato operato d’urgenza per un tumore ai polmoni, rischiando quindi la vita sotto i ferri a più di 80 anni di età, ma riuscendo a resistere e a cavarsela, con esami istologici negativi (e a brevissimo tornerà a suonare sui palchi!).

Insomma, si è abbattuta una bella tempesta sul mondo della musica – che in realtà dura oramai da qualche anno e si è aggravata con la pandemia – e ora ci troviamo a onorare la memoria di un altro pilastro dell’ultimo secolo di musica, Pat Martino.

Il musicista che visse due volte

Martino, all’anagrafe Patrick Carmen Azzara, è un uomo che nel corso della sua vita si è scontrato spesso con gravi problemi di salute.
Primo tra tutti l’aneurisma celebrale che lo colse all’inizio degli anni ’80 e che gli costò anche una profonda amnesia. In pratica, si trovò a metà della sua vita nelle condizioni di dover imparare nuovamente a fare tutto, compreso il musicista.

Nonostante questo, tornò presto a rimettere le mani sulla chitarra e celebrò il suo ritorno nel 1987 con un disco dal titolo simbolico di The Return, il ritorno.

Purtroppo la sorte malevola si ripresentò nel corso del 2018, quando un grave disturbo respiratorio lo portò a dover essere costantemente assistito con l’ossigeno e questo non gli permise più di suonare la chitarra.
Non solo, le cure erano molto costose e sappiamo bene che il sistema sanitario americano può portare velocemente una persona all’esaurimento delle sue possibilità economiche, soprattutto se non lavora.
Venne infatti lanciato un crowdfunding per aiutare Pat ad affrontare le spese mediche.

Qui sotto una della sue ultime esibizioni proprio del 2018 in Italia.

Ieri, 1 novembre 2021, la sua battaglia è finita e ci ha lasciato a 77 anni, ma anch’egli, come gli altri grandi che sono venuti a mancare nel passato recente o remoto, ha lasciato a noi un’immensa eredità musicale.

Un posto tra i grandi della chitarra Jazz

Non siamo noi a dirlo, ma persone della statura dell’organista Joey DeFrancesco che hanno affermato: “Ha cambiato il modo di suonare la chitarra. Ha preso le sue influenze da chitarristi quali Wes Montgomery e Kenny Burrell e ha creato il suo modo di suonare. Lui e George Benson sono i chitarristi più influenti. Insieme a Montgomery, Burrell, Benson e Grant Green, il signor Martino è uno dei cinque migliori chitarristi di tutti i tempi“.

Non ci si stupisce del resto di queste affermazioni pensando a quanto vi abbiamo appena raccontato, sia leggendo qualcosa del suo passato.
Ad esempio, di quando a soli 11 anni Pat riuscì a lasciare di stucco addirittura Les Paul. Quest’ultimo ricordava bene il giovanissimo Pat, quando con il padre andava a sentir suonare i migliori musicisti esistenti nei locali (compreso il suddetto Montgomery, NdR).

Il piccolo e il papà riuscirono ad avvicinarsi a Les Paul per chiedergli un autografo e un plettro e il buon Lester fece anche di più, facendogli imbracciare per un attimo la sua chitarra. Fu in quel momento che il piccolo Pat lo stupì, iniziando a suonare come non avrebbe mai sospettato.

Nonostante questo avvenimento potrebbe essere stato magari un po’ romanzato, è vero comunque che Martino iniziò da giovanissimo a prendere lezioni di musica e pare che le seguisse e imparasse con una disinvoltura notevole.
Questo probabilmente sia grazie a una predisposizione naturale, ma sicuramente anche per l’influsso del padre, che a sua volta era un cantante e si esibiva spesso nei locali di Philadelphia.

Si può dire a piena voce che Pat crebbe letteralmente abbracciato dalla musica, del resto ricordiamo che da bambino fu addirittura “amico” di John Coltrane, con il quale si intratteneva a parlare ogni volta che poteva.

A Philadelphia maturò quindi come uno dei musicisti più stimati, uno di quelli che sicuramente “ce l’avrebbero fatta“. E, sebbene qualcuno avrebbe potuto pensare il contrario, si applicò tanto nel Jazz quanto anche, a suo modo, nel Rock.

All’età di 23 anni, nel 1967, fu intercettato da una delle etichette più importanti del Jazz, la Prestige, con cui incise il suo primo album da leader intitolato El Hombre, a cui seguirono l’anno dopo ben 3 dischi Strings!, East! e Baiyina (Thea Clear Evidence).
Restò con la Prestige fino al ’79 (con l’album Desperado) dopodiché passò alla newyorkese Muse Records per poi approdare alla major Warner Bros.

Purtroppo nello stesso anno, il 1976, iniziò ad avere i suoi primi problemi di salute, con gravi convulsioni per una malformazione congenita al sistema circolatorio, che lo avrebbero portato all’aneurisma del 1980. Ma, come già detto, non si diede mai per vinto.

Nel 2011 è uscita la sua autobiografia Here and Now! in cui Pat descrive il suo aneurisma come “la cosa più bella che mi sia mai capitata“.
Ovviamente bisogna leggere tra le righe e non letteralmente questa frase. Martino afferma nel libro “Ciò che ho in mente è una maggiore concentrazione su ogni singolo momento, in modo da potermi veramente concentrare su ciò che la vita è veramente. La mente ha un modo di pensare a cose che non hanno nulla a che fare con il ‘momento’, ma se posso amare la mia vita in quel ‘momento’, sono nel posto giusto al ‘momento’ giusto“.

Un mito anche per i suoi miti

Tornando indietro nel tempo, anche l’altro mito della chitarra citato da DeFrancesco, George Benson, ha ricordato il suo primo incontro con Martino.
Lo incontrò quando era già molto famoso (Benson), a New York. Sembra che anche per lui fu una folgorazione, questo giovane ragazzo che suonava con una fluidità mai vista prima ma soprattutto con i “fraseggi più incredibili che avessi mai sentito. C’era tutto: un grande suono, una grande articolazione e tutta la folla – un pubblico afroamericano – stava impazzendo per lui“.

Pat Martino, insomma, è stato una fonte di ispirazione per i suoi stessi maestri, i suoi stessi ispiratori. Lo è stato per i suoi contemporanei, come avrete già letto sopra nel post sul social di John Scofield.
Lo è stato per le generazioni di musicisti a lui successive e lo sarà ancora per altre, per tanti tanti anni. Se non avete mai approfondito la sua discografia, è l’ora di farlo.

Pat lascia la moglie Ayako. La sua città, Philadelphia, sta già programmando di rendergli omaggio nei prossimi giorni.

Cover Photo by Bieniecki Piotr - CC BY 4.0