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Houses of the Holy, finalmente un titolo per i Led Zeppelin

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I Led Zeppelin hanno segnato l'apice della loro fama fenomenale con Houses of the Holy, grazie al profondo contributo di ogni membro della band.

Il quinto LP della band  fu pubblicato il 28 marzo del 1973, oltre sei mesi dopo la fine delle registrazioni del 1972 che ebbero luogo a Stargroves, una tenuta di campagna inglese di proprietà di Mick Jagger dei Rolling Stones.

Prodotto dal chitarrista Jimmy Page (come tutti gli album degli Zep), l’album presenta sofisticate stratificazioni delle parti di chitarra, oltre l’aggiunta di strumenti innovativi per l’epoca (come il massiccio uso del Theremin) e altre tecniche di produzione molto costose al tempo. Oltre alle registrazioni agli Stargroves, l’album contiene registrazioni ad Headley Grange (dove registrarono il precedente Led Zeppelin IV) con il Rolling Stones Mobile Studio, insieme a sessioni negli Olympic Studios di Londra e agli Electric Lady Studios di New York.
Diverse canzoni registrate non incluse in Houses of the Holy, furono pubblicate su album successivi come Physical Graffiti e CODA

Perfettamente a cavallo tra il periodo iniziale più blues della band al loro lavoro successivo, più incline al pop e al rock moderno, Houses of the Holy presenta stili e sottogeneri mai esplorati nei precedenti album, come funk, reggae e doo-wop ed è inoltre un tributo indiretto ai loro fan, sempre presenti in numeri da record ai loro spettacoli dal vivo.

I brani

Il fatto che questo album contenga sonorità differenti è evidente fin dall’inizio con “The Song Remains the Same“. Dalle voci con effetto di pitch-shifting di Robert Plant alle chitarre multitraccia estremamente solari di Page, la canzone è eccezionale ed è impostata come una sorta di viaggio continuo, senza seguire una classica struttura.

Pur essendo senza schemi si ascolta in modo fluido, senza mai perdere l’attenzione grazie sopprattutto al drumming magistrale di John Bonham. La canzone era in origine uno strumentale a cui era stato dato il titolo provvisorio di “The Overture” prima che Plant aggiungesse i testi ed inizialmente sarebbe stata l’intro di “The Rain Song”: questo fil rouge proseguì poi negli anni a venire durante le esibizioni live, dove le canzoni erano speso legate.

The Rain Song” è un pezzo meraviglioso, certamente tra i più bei brani dei Led Zeppelin. Continene linee di chitarre acustiche ed elettriche intrecciate insieme e dal vivo veniva suonata usando la famosa SG doppio manico accordata DGCGCD.
La canzone presenta anche una lunga sezione di mellotron interpretata da Jones, che aggiunge un surreale effetto orchestrale sopra la chitarra di Page prima di tornare alla strofa finale e all’outro di chitarra.

Parti di “Over the Hills and Far Away” furono scritte da Page e Plant durante le sessioni del 1970 nella casetta gallese di Bron-Yr-Aur (da cui il famoso brano) per l’album Led Zeppelin III.
La canzone è per la maggior parte acustica, ma apre ad una sezione rock nella parte centrale, rendendola una delle canzoni dei Led Zeppelin più dinamiche di sempre con John Paul Jones e John Bonham che aggiungono un ritmo serrato alle dinamiche eteree di Page e Plant.
La canzone è stata rilasciata come singolo degli Stati Uniti, ma non riuscì a raggiungere la “Top 40”, ottenendo più successo sulle radio classiche.

The Crunge” è un funk tributo a Wilson Pickett, Otis Redding e James Brown e si è evoluto in una jam session costruita attorno agli off-beat di Bonham e al riff di Jones. Questa canzone presenta un sintetizzatore VCS3 sovrainciso per replicare la sezione funky, che gli conferisce un suono totalmente unico. Durante la jam Plant Plant richiese un “bridge” imitando l’abitudine di Brown di gridare istruzioni alla sua band durante le registrazioni dal vivo (Take me to the bridge!).
Quando nessuna di queste sezioni si materializza, la canzone (e il primo lato) termina in modo univoco con il parlato “Where’s that confounded bridge?” (“Dov’è quel ponte confuso?”).

Se i Led Zeppelin sono stati vicinissimi a scrivere una canzone pop pura, l’hanno fatto con “Dancing Days“. Eppure questo brano è stato in realtà ispirato da un motivo indiano che Page e Plant sentirono mentre viaggiavano a Mumbai. Le sovraincisioni per chitarra sono semplicemente magistrali in questa canzone allegra che parla di notti d’estate e giovane amore. Fu suonata dal vivo già nel novembre del 1971 e, sebbene non fosse ufficialmente pubblicato come singolo, ebbe un’intensa attività radiofonica nel Regno Unito.

D’Yer Ma’ker” è stato rilasciato come singolo e divenne l’ultimo successo da Top 40 della band.
La canzone ha un suono unico, con la batteria di Bonham che sostiene il riff di Page e Jones ispirato al reggae, con a voce pop di Plant. Il caratteristico suono di batteria è stato creato posizionando tre microfoni a distanza, ottenendo così un riverbero molto naturale per rendere più maestoso il suono delle percussioni. Il nome della canzone deriva da una vecchia battuta sulla Giamaica, ed è stato spesso pronunciato erroneamente come “Dire Maker” da coloro che non hanno familiarità con lo scherzo e non “Dja-mei-ca” nel tipico accento cockney dell’east end.

No Quarter“, il capolavoro di John Paul Jones, offre un grande contrasto al resto dell’album, con un pezzo molto più oscuro sulle conquiste dei vichinghi. Il titolo deriva dalla pratica militare di non mostrare pietà ad un avversario sconfitto: “No quarter” è lo slang con cui i pirati e i saccheggiatori usavano dire “no mercy”. La canzone presenta un piano elettrico passato attraverso un phaser e un favoloso assolo di piano acustico di Jones nella lunga sezione centrale.
Page doppia le chitarre elettriche con il theremin, mentre la voce di Plant è pesantemente filtrata e distorta.

L’album si conclude con il vivace rock di “The Ocean“, che si riferisce alla “marea di fan” presenti ai concerti della band. Lanciata da una intro vocale di Bonham, la canzone ritorna ai granitici riff che erano tanto popolari nei loro album precedenti. Anche questa canzone contiene parti uniche, tra cui un coro vocale sovrainciso e una sezione outro che contiene un basso boogie con forti sovraincisioni di chitarra, portando l’album al climax finale.

La Copertina

Il motivo principale dell’uscita ritardata dell’album è stato il guaio con la progettazione e la stampa della copertina ad opera della compagnia artistica Hipgnosis.
I Led Zeppelin incontrano per la prima volta Aubrey Powell e Storm Thorgerson dell’Hipgnosis Studio a Londra nel settembre 1972. Houses Of The Holy era già registrato, mancava solo la copertina ed era ordine del giorno trovare l’idea il più in fretta possibile, ponendo l’anno nuovo come dead line e mettendo a disposizione budget illimitato.

I grafici propongono quindi tre idee guida, senza una chiara realizzazione: la prima idea era scolpire ZoSo nell’altopiano di Nazca in Perù accanto ai disegni tracciati nel deserto. Avrebbero poi dovuto scattare una fotografia da un elicottero, senza considerare la distanza del viaggio in Perù, la possibilità che la foto fallisse e che le autorità dessero il benestare.

La seconda era ispirarsi al romanzo “Childhood End” di Arthur C. Clarke del 1953, in cui dei bambini uscivano dalla terra camminando verso lo spazio in una luce avvolgente e splendente.

La terza, idea del solo Storm Thorgerson, è la visione onirica di un campo da tennis elettromagnetico con una racchetta (…), idea che fa infuriare Jimmy Page tanto da licenziare Thorgerson nonostante la fama che Storm godeva tra i grafici di copertine a Londra. L’intero lavoro è affidato quindi al solo Aubrey Powell e si opta ovviamente per la seconda soluzione.

Powell voleva usare una famiglia vera, i Gates: Papà, mamma e due fratellini, tutti completamente nudi, che dovevano essere dipinti con colori accessi per dare un senso generale di brillantezza. Aubrey sceglie come ambientazione le Giant’s Causeway (il Selciato del Gigante), un luogo in Irlanda del Nord creato da rocce vulcaniche e migliaia di colonne di basalto in varie altezze, talmente suggestive da creare leggende su giganti e titani di quei luoghi, da cui il nome.

Houses of the Holy, finalmente un titolo per i Led Zeppelin

Powell voleva una foto all’alba oppure al tramonto, i due momenti in cui la luce sarebbe stata giusta per la foto che aveva in mente. C’era però un problema: a inizio novembre il tempo in Irlanda del Nord è terribile. Pioveva ogni giorno e le prove per lo scatto con tutta la famiglia andarono avanti inutilmente per cinque giorni, tanto da finire anche il make-up e far ricorrere la squadra a vernice spray per auto.

A quel punto la decisione drastica: non sarebbe stata tutta la famiglia, ma solo i bambini a comparire nella foto. Sfruttando la notevole somiglianza tra i due fratelli, entrambi con lunghi capelli biondi, Powell scatta più foto ai bambini separati per creare il fronte e retro copertina in un unico collage, sfruttando la struttura geometrica delle rocce che formano la scalinata.

Crea quindi due sequenze di foto in bianco e nero, una per Samantha e l’altra per Stefan Gates, e ricrea poi 11 bambini in studio. Il pittore Phil Crennell, collaboratore di Hipgnosis, dipinge poi la foto con tonalità oro e argento donando l’elusivo tocco onirico.
L’immagine ha un’atmosfera surreale: bambini che si arrampicano per raggiungere la vetta della scalinata in direzione del cielo luminoso, caratterizzato da una luce quasi impossibile, oro e arancione.
Powell scatta le foto in poco più di un’ora e nello stesso pomeriggio fotografa il Dunluce Castle, un castello in stato di rovina poco lontano dal Giant’s Causeway che sarà l’immagine della copertina interna.

Houses of the Holy, finalmente un titolo per i Led Zeppelin

Nella foto, un uomo nudo (forse un collaboratore, forse il padre) tiene uno dei due bambini (Samantha, nella foto originale) sollevato in alto, verso un fascio di luce mistica con un che di “sacrificale” donando all’artwork quel tocco di esoterismo sempre implicito nei lavori del dirigibile.
I problemi però sembravano insormontabili per Powell poiché a causa di errori di stampa, l’artwork finale che veniva accidentalmente stampato in viola. Quando poi  finalmente l’opera fu considerata corretta, l’album fu bandito dalla vendita in molte località proprio a causa dei bambini nudi in copertina! La mossa geniale fu quella di utilizzare un packaging che riportasse il titolo dell’opera a copertura delle nudità in primo piano e nome dei componenti della band e info sul retro.
Per aprire il disco bisognava rompere chiaramente il rivestimento e solo allora si poteva osservare forse l’unico album nella storia della musica senza alcun carattere inciso, ne all’esterno, ne all’interno.

Houses of the Holy, finalmente un titolo per i Led Zeppelin

Curiosità

L’omonima canzone “Houses of the Holy”, fu registrata nel 1973, ma fu scartata ed inserita poi nell’album successivo, Physical Graffitti.
Il bassista e tastierista John Paul Jones lasciò temporaneamente la band per alcuni giorni durante la registrazione di questo album, ma presto ritornò e rimase con la band fino alla fine. Sicuramente vennero sollevati dei problemi nel rapporto con Jimmy Page che non lasciava spazio di esprimersi all’eclettico musicista. Page al tempo era dedito a forte consumo di droghe e si dice praticasse occultismo, ossessionato da Aleister Crowley (si, proprio il Mr. Crowley di Ozzy!)indiscussa autorità in questo campo.
Page acquistò addirittura l’abitazione di Crowley, Boleskine House, sulle rive del lago di Loch Ness ed avrebbe anche cercato di appropriarsi dell’Abbazia di Thélema in Sicilia e in cui Crowley visse durante gli anni 20, ma Page fu cacciato dall’Italia proprio per sospetto occultismo.

Il titolo

Secondo alcuni, il titolo dell’album farebbe riferimento proprio a queste dimore, fatti per cui Page fu tacciato di satanismo dalla stampa, mentre la band afferma che le “case dei santi” erano semplicemente i locali e le arene dove i fan veneravano i loro Dei. Dei che nememno a dirlo, erano ovviamente loro, i Led Zeppelin.

Houses of the Holy, finalmente un titolo per i Led Zeppelin

Houses of the Holy è stato certificato con 11 dischi di platino ed è spesso incluso nelle classifiche dei migliori album di tutti i tempi. Questo stravagante, ma brillante album è stato citato come fonte di ispirazione da moltissime hard rock band a venire.


La Redazione di Musicoff dà il benvenuto a bordo ad Alessio Berlaffa, che ci guiderà all’approfondita scoperta degli album musicali che hanno fatto la storia, nel giorno in cui ricorre la loro uscita discografica.
Benvenuto Alessio!