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L’opera nella Russia dell’Unione

Il pungente freddo russo accompagna anche questa nuova tappa del nostro viaggio, in cui, dopo aver cercato di inquadrare storicamente le sorti della musica in relazione alla vita dell’Unione Sovietica, ci addentriamo maggiormente nelle forme attraverso cui la produzione russa si è manifestata. La matassa che divide

Il pungente freddo russo accompagna anche questa nuova tappa del nostro viaggio, in cui, dopo aver cercato di inquadrare storicamente le sorti della musica in relazione alla vita dell’Unione Sovietica, ci addentriamo maggiormente nelle forme attraverso cui la produzione russa si è manifestata. La matassa che divide dalla comprensione della musica nel ‘900 russo è sicuramente intricata, ma altrettanto semplice da sbrogliare se filtrata dalle sintetiche informazioni storiche approfondite nei precedenti appuntamenti.

Il nostro viaggio ci ha condotti finora ad osservare il mutamento della produzione russa in virtù delle imposizioni del regime nel periodo post-rivoluzionario. C’è però da ricordare che, oltre ai nomi già citati di Šostakovič Prokof’ev, molti altri compositori russi dovettero scontrarsi con il pugno di ferro della censura, talvolta soccombendo miseramente, altre volte trovandosi costretti a fuggire dalla propria patria. Proprio per questo motivo non si deve restare stupiti nel trovarsi a parlare dell’operato di alcuni autori fuori dai confini della patria natale. Il 900 è infatti il secolo delle grandi fughe per la salvezza, il secolo in cui si ritroveranno star della musica losangelina Schönberg e Stravinskij, i giganti del modernismo musicale.

Il primo austriaco ed in parte ebreo, il secondo russo, entrambi esuli in quel “dannato paradiso” americano come molti altri nomi quali Rachmaninov o Bartok. Nel voler iniziare una panoramica sufficientemente esaustiva sull’opera russa si è deciso di prendere in causa un nome in particolare, esemplare compositore nella transizione fra ‘800 e ‘900, divenuto famoso anche per l’importanza di alcuni importanti allievi, oltre che per la bontà dei propri lavori.

Nikolaj Andreevic Rimskij-Korsakov, docente al conservatorio di San Pietroburgo, fu maestro di Stravinskij come anche di Prokof’ev, nato nel 1844 legherà la sua produzione in particolare all’ultima parte del XIX secolo, eppure rientra nella nostra storia per la produzione operistica che caratterizzò gli ultimi anni della sua vita.

Korsakov può essere identificato a livello cronologico in quello che è stato definito il gruppo dei cinque, di cui fecero parte anche Balakirev, Cui, Borodin e il grande Musorgskij. Il nome di Rimskij-Korsakov è legato a stretto nodo a titoli come Scheherazade op. 35 (1888) o La grande Pasqua russa (1887-88), indubbi capolavori che rientrano però nella produzione legata ad anni precedenti il 1900.

Scritta fra il 1899 e il 1900, l’opera in un prologo e quattro atti, La favola dello Zar Saltan, su libretto di Vladimir Bel’skij, è indubbiamente uno dei passi più celebri della carriera di Korsakov, fama ottenuta anche grazie a Il volo del Calabrone, terzo episodio della fiaba basata sull’omonima storia scritta da Aleksandr Puškin.
Rappresentata per la prima volta il 21 ottobre del 1900 al teatro Solodovnikov di Mosca, l’opera riprende in maniera fedele la fiaba di Puškin, su cui Bel’skij operò alcuni tagli ed alcune aggiunte di suo pugno.

Rimskij-Korsakov, su un totale di quasi quindici, produsse altre cinque opere tra il 1900 e il giugno del 1908, mese in cui sopraggiunse la morte.

Kaščej l’immortale (favola autunnale) andò in scena nel 1902, e per l’occasione Korsakov si occupò anche del libretto, basato sulla figura popolare dello stregone Koščej, mentre La leggenda dell’invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija (1907), con libretto di Bel’skij, è un’opera a soggetto storico-popolare riferito ad alcune leggende russe che narrano dell’invasione tatara del 1200.

Il gallo d’oro fu l’ultima opera di Korsakov, basata anch’essa sul poema di Aleksandr Puškin, fu composta nel 1907 e rappresentata per la prima volta nel 1909, dopo la morte del compositore. L’opera, a causa della sua spinosa vicenda contenente una forte accusa al regime zarista, fu immediatamente censurata dopo la prima rappresentazione pubblica.

Rimskij-Korsakov, la cui produzione musicale va ben oltre le sole opere qui citate, è stato il nostro rappresentante prescelto per traghettare la musica operistica dal finire del 1800 al primi anni della nuova era, approdo che dovrà fare indubbiamente i conti con il mutato clima politico e sociale. Se le difficoltà incontrate dall’ultima pièce di Korsakov sono ascrivibili ancora al regime zarista, sarà ben diversa la problematica politica che i compositori successivi si ritroveranno a fronteggiare.

Abbiamo osservato come il “realismo socialista” fu il canone ineludibile prefissato dal Congresso Panrusso del 1934, principio che decretò la totale aderenza della produzione musicale agli ideali d’ottimismo rivoluzionario in favore di un consolidamento dell’Unione a potenza politica mondiale. La produzione musicale dell’Unione doveva quindi svolgere funzione celebrativa, ideologica e di supporto alla filosofia della nave madre URSS.
In questo contesto l’opera, grazie al potere divulgativo su cui il genere si fonda, assurse presto a principale veicolo di trasmissione della nuova filosofia socialista. Nel rispetto dei dettami del realismo socialista, per gli organi di controllo dell’Unione il primo problema da superare fu quello rappresentato dal repertorio occidentale.

La via adottata per la soluzione della problematica fu tra le più singolari ma allo stesso tempo fra le più semplici ed efficaci: i libretti di repertorio furono trasformati sulla base di una reinterpretazione in chiave rivoluzionaria. Si assistette quindi al mutare de la Tosca di Giacomo Puccini in La battaglia della Comune come a molte altre operazioni analoghe, trasformazioni che non gravarono esclusivamente sul repertorio proveniente dall’occidente. Anche opere del repertorio russo, dai caratteri inconciliabili con i nuovi canoni del realismo socialista, subirono riadattamenti invadenti, buon esempio è la trasformazione di Una vita per lo Zar (1836) di Michail Ivanovič Glinka, nel soggetto andato in scena come Falce e martello.

Il carattere rivoluzionario imposto dalle risoluzioni del Congresso diede il via al nascere di una tradizione operistica russa di cui possiamo rintracciare gli albori nel 1925, con le prime rappresentazioni di tre opere: I decabristi di Zolotarëv, La rivolta delle aquile di Paščenko e Per Pietrogrado rossa di Gladkovskij e Prusak.

La rigida autorità del panorama artistico venutosi a formare sotto i dettami del realismo socialista, non impedì del tutto l’emergere di alcuni nomi capaci di distinguersi per la volontà di aderire alla tematica rivoluzionaria senza abbandonare completamente la ricerca di un linguaggio musicale più moderno. Deševov con Il ghiaccio e l’acciaio (1930) e Knipper con Vento del Nord (1930), sono indubbiamente due buoni esempi del tentativo di ritrarsi all’essere fagocitati inesorabilmente dal realismo socialista.

La sperimentazione futurista verificatasi in ambito letterario non trovò buona controparte in musica se non nella forza con cui fu prontamente censurato Il naso di Dmitrij Šostakovič, grande protagonista insieme a Prokof’ev dei nostri prossimi incontri. Entrambi i compositori affronteranno diversamente il complesso rapporto con la madre patria, ma ci riserviamo tempi e luoghi più adatti a trattare in maniera approfondita l’argomento. Per il momento ci basti sapere che l’azione della censura darà filo da torcere alle spinte più fervide del genio dei due giganti della musica russa, eleggendo invece a modello da seguire Ivan Ivanonvič Dzeržinskij e il suo Placido Don (1935).

Un linguaggio “realistico”, e pertanto semplice, comprensivo e celebrativo, aveva contraddistinto l’opera di Dzeržinskij, divenendo così una matrice su cui si forgeranno numerose produzioni degli anni seguenti, quali La corazzata Potëmkin di Čiško o La madre (1939) di Želobinskij.

Il periodo corrispondente alla Seconda Guerra Mondiale vide il proliferare di opere con soggetto tratto da episodi eroici, provenienti dalla guerra in corso come dal passato della nazione. Episodio di grande rilievo è sicuramente quello rappresentato da La grande amicizia (1948) di Muradeli, ritirata dalle scene dopo il grande successo nei primi anni successivi al debutto, forse il più emblematico fra i casi di censura applicata senza motivi riscontrabili in maniera chiara ed evidente. Stalin e alcuni membri del Comitato Centrale andarono ad ammirare al Bol’šoj di Mosca La grande amicizia, una saga sul Caucaso post-rivoluzionario, ma non ne rimasero contenti. Gli illustri spettatori ebbero subito da contestare l’inesatta rappresentazione dell’orientamento politico dei popoli del Caucaso.

La tendenza “formalistica” e l’accusa di modernismo costarono la sorte della pièce di Muradeli, forse usata come vittima esemplare per andare a colpire, con un decreto che arriverà a metà del gennaio 1948, i pezzi grossi dell’Unione dei Compositori Sovietici. Presto alcune fra le più importanti menti della Russia musicale avrebbero assaggiato la scure del temibile censore Ždanov, detto il pianista per delle scarse capacità sullo strumento. Anche dopo la molte di Ždanov molte opere non furono riabilitate per molti anni.

Dopo gli anni Cinquanta, durante il periodo del cosiddetto “disgelo”, le tematiche eroico-celebrative non vennero abbandonate. Malgrado l’alleviarsi della tensione che aveva caratterizzato gli anni precedenti, furono rarissimi gli episodi di deviazione dal tracciato socialista, a riguardo La bisbetica domata (1957) di Šebalin è forse uno dei pochi esempi degni di essere citati.

Nel 1958 l’avvento del periodo krusceviano riabilitò molte delle opere censurate fino a quel momento, adottando un atteggiamento sensibilmente più tollerante. Molti studiosi fra più autorevoli concordano sull’ipotesi riguardo cui tale l’apertura e alleggerimento della pressione portate avanti dal governo Kruscev, si siano verificati per la consapevolezza della scarsa rilevanza artistica della produzione sovietica fino a quell’istante. Tale affermazione è da riferirsi all’appiattimento derivante dalle strategie imposte rigidamente dall’Unione negli anni precedenti.

Nel corso degli anni anche il patrimonio novecentesco russo strettamente legato alla sfera del realismo socialista è stato oggetto di meritata rivalutazione, ed è indubbiamente un bacino di grande interesse storico-musicale. Interrompiamo ora il nostro racconto per darci appuntamento al prossimo appuntamento, in cui concluderemo la campata sulle forme della musica russa durante la vita dell’Unione Sovietica per lasciare poi finalmente spazio ad alcuni grandi nomi scelti del panorama russo novecentesco.

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