HomeRecording StudioRecording Studio - DidatticaL’altra metà del suono Pt.1

L’altra metà del suono Pt.1

È con estremo piacere che annunciamo una new entry nella grande famiglia dei musicoffili, con cui inizieremo da oggi una serie di articoli riguardanti la fonia ed oltre: Andrea Pellegrini, stimato professionista toscano, “stregone” del banco mixer ma non solo, anche maestro, organista, grandissimo esperto di music

È con estremo piacere che annunciamo una new entry nella grande famiglia dei musicoffili, con cui inizieremo da oggi una serie di articoli riguardanti la fonia ed oltre: Andrea Pellegrini, stimato professionista toscano, “stregone” del banco mixer ma non solo, anche maestro, organista, grandissimo esperto di musica e chi più ne ha più ne metta.
Con lui percorreremo un viaggio sia all’interno di un virtuale studio di registrazione che sul palco, per scoprire tutte le fasi di lavoro e i trucchi del  mestiere che adopera quotidianamente, ma che ancor più utili saranno per l’artista in ascolto, che fa di tali ambienti il proprio habitat naturale.
 Cercheremo di oltrepassare i limiti di una banale lezione di tecnica di ripresa audio e di addentrarci invece negli aspetti troppo spesso sottovalutati, condendo il tutto con curiosità, aneddoti e tutto ciò che potrà raccontare nel modo migliore l’umanità che sta dietro le nostre passioni, che non può essere lasciata solo alla mercé delle macchine.
Forse a volte ci capiterà di divagare un po’ e di aprire parentesi più o meno ampie, ma è proprio questo il bello di parlare con una persona come Andrea, una fonte di nozioni e curiosità davvero senza fine!
Passo quindi la parola a lui, rivolgendogli un’unica e semplice domanda, che suonerà familiare a chi frequenta il nostro forum.

Ciao Andrea, ci racconti un po’ di te? Conosciamoci un po’!
Salve a tutti i musicoffili innanzitutto! È un piacere per me entrare in questa community, che comunque già conoscevo e avevo seguito spesso come lettore esterno.
Come iniziare… direi di partire dal principio. Inizio ad ascoltare musica dalla tenera età di una settimana. Tutto per merito di mio padre, che fin dai primi vagiti mi ha fatto ascoltare tutto ciò che componeva la sua ampia discografia dell’epoca, tanto che a quattro anni avevo già il mio “disco preferito”. Trattasi di “Thick as a brick” dei Jethro Tull, un ascolto piuttosto insolito, nonché impegnativo, data l’età. Ascoltavo il nastro per giornate intere e per il mio quinto compleanno mi venne regalato addirittura l’LP originale: considera che in casa ero già diventato il gestore di tutte le apparecchiature hi-fi, riuscendo senza problemi a mettere la puntina del giradischi sul piatto. 
Tutto prima di imparare a scrivere… (risate).
Crescendo, la matrice musicale inglese, in particolare progressive rock, mi ha influenzato tantissimo pur non mancando le varianti di scuola americana: una su tutte l’immenso Stevie Wonder. Anche in questo caso fu complice mio padre, che mi addormentava addirittura con “Innervision”. D’altra parte la famiglia pullulava di musicisti: mio padre era un batterista e mio zio era un musicista professionista quando le balere erano posti in cui si suonava ore ed ore e non solo il liscio, ma gran parte del repertorio attuale, sia italiano che straniero, con gruppi come Pink Floyd, Vanilla Fudge, King Crimson, Procol Harum e altri. Era una nave scuola impressionante, purtroppo oramai dimenticata al giorno d’oggi.
Infine ricordo mio nonno, polistrumentista e vero capostipite musicale della famiglia.Andrea PellegriniQuando sei arrivato dalla musica ascoltata a quella suonata?
Ben presto! Ero infatti costantemente attirato verso ogni cosa producesse un suono… con un fascino particolare per gli strumenti a tastiera. Questo magnetismo assoluto mi portò alla prima esperienza in una scuola di musica scegliendo come strumento il pianoforte, con un maestro eccezionale: Maurizio Spampani di Pistoia.
La mia fortuna, grazie a lui, è stata l’approcciarmi alla didattica musicale in maniera non accademica. Questo perché Maurizio, pur venendo dal conservatorio, è stato uno dei primi e più importanti “electonisti” in Italia. Questa parola sembrerà sconosciuta ai più poiché l’Electone è uno strumento oramai caduto nel dimenticatoio. Si tratta un apparecchio elettronico col cuore di un sintetizzatore ma con l’impostazione da organo (quindi con doppia tastiera più pedaliera). Uno strumento tanto difficile da suonare quanto completo. Grazie a questo, Spampani era venuto in contatto col cosiddetto “metodo Yamaha”, didattica che univa il primo studio teorico e tecnico della musica col divertimento costante ricevuto nel suonare brani conosciuti… con conseguente ed immediata soddisfazione personale.
Da lì, l’evoluzione delle mie prime qualità musicali mi portò alla scelta di intraprendere uno studio più approfondito del pianoforte, con la tecnica e il solfeggio necessari. Tutto fatto però con grande voglia! Un grande problema del solfeggio oggi è che viene spesso imposto molto duramente e in maniera piuttosto noiosa nelle scuole, cosa che rischia di tagliare un po’ le gambe alla passione, soprattutto quando si parla di soggetti di giovane età.
Sempre per mia scelta iniziai il conservatorio, che ho frequentato, dai dieci ai quindici anni, fino all’esame di quinto anno. Perché non ho continuato il conservatorio fino al decimo anno? Adoro la musica classica, vado ai concerti, ho tanti amici musicisti classici. Ma non era quello che volevo fare io. A me piaceva la musica rock e r’n’b, avevo già tutto quello che volevo in quanto a basi teoriche, molte conoscenze tecniche; ho semplicemente scelto un’altra strada da quella del concertista classico.
Inoltre, era iniziata la mia passione sfrenata per l’organo Hammond, che è sempre stato il mio sound, dai Procol Harum a Jon Lord, da Brian Auger alle parti solo apparentemente semplici sui dischi dei Creedence Clearwater Revival.
Ancora una volta mi rivolsi al mio maestro, Spampani, che già aveva suonato lo strumento negli anni settanta. La mia voglia di conoscere questo strumento è andata di pari passo alla sua nel riscoprirlo e “rispolverarlo”. Oggi ha addirittura una delle classi più importanti in Italia (SPM, a Pistoia), basti ricordare allievi come Alessio Spampani e Valentina Bartoli, nomi emergenti del panorama hammondistico italiano.

Esistono molte donne Hammondiste?
Le donne sono sempre state grandi hammondiste! Vi siete mai chiesti perché l’organo Hammond C3 si differenzi dal B3 solo per l’estetica del mobile (chiuso sul davanti) quando la “macchina” è esattamente la stessa? La “C” sta infatti per church e fu chiuso proprio per non far vedere, in ambito sacrale, le gambe delle organiste donne! Nell’ambito Jazz basti ricordare nomi del calibro di Rhoda Scott o Barbara Dennerlein. Senza contare che è proprio una donna colei che ha reso celebre l’organo Hammond, nonché la prima hammondista (in senso neutro del termine) in assoluto: Ethel Smith.Ad oggi che tipo di musicista ti consideri?
Considero l’organo il mio strumento principale: mi sento un hammondista, non un pianista. Ho la fortuna di possedere un C3 americano prima serie del 1958, modello quadrifoglio, che si può dire sia la serie migliore. Questo perché col tempo e soprattutto con l’avvento dei sintetizzatori certi strumenti “monotimbrici” interessavano sempre meno e venivano fatti con minor cura.
Le serie sono principalmente tre e tra un C3 pre’59 e uno degli anni ’70 si vede una differenza di componentistica, di motore e quindi di suono (riscontrabile come calore e “pancia”) notevole (chitarristi, non vi ricorda qualcosa? 😀 NdR).
Il mio strumento è veramente in ottime condizioni, pensa che al suo interno è ancora presente il registro delle oliature sul quale a penna è trascritto ogni intervento dal ‘59 al ‘63 !Vedo che parli da vero esperto… anche tu affetto dalla G.A.S.? 🙂
Andrea Pellegrini&Trio BoboOvviamente anch’io sono un bel malatone di strumenti e non lo nascondo, ma il contatto musicale con gli anni ’60 e ’70 mi ha messo nell’ottica per la quale quando ho la pasta sonora che mi serve, sono contento. Senza “intortarmi” nella ricerca disperata dello strumento perfetto. Questo concetto lo applico anche sugli strumenti moderni, che comunque uso volentieri. Altri strumenti che possiedo: prima di tutto vado orgoglioso del mio piano Fender Rhodes Mark I Stage Piano del 1976, gentilmente donato da un amico che lo aveva in cantina da decenni e che è stato felice di darlo a qualcuno che ne avrebbe avuto cura.
Io sono infatti al limite del feticismo con gli strumenti, assolutamente contrario ai concetti del relic.
Poi possiedo una mitica Korg M1, comprata di nascosto dai genitori a 14 anni risparmiando non so quante “paghette”, che per me rimane uno standard assoluto. Un legame affettivo sommato al reale valore dello strumento. Una tastiera che, se conosciuta a dovere, regala grandi soddisfazioni. Tra l’altro è la tastiera in “Innuendo” dei Queen, uno dei miei dischi preferiti di sempre! Ho avuto anche il piacere di conoscere il progettista italiano (la M sta infatti per “Michele” Paciulli) e l’ho ringraziato personalmente del suo lavoro. Ho anche, sempre Korg, la tastiera nata dal secondo sviluppo di M1, ovvero la 01/W. Sebbene lo strumento sia più completo, continuo a preferire la pasta sonora della M1.
Ho una SY99 Yamaha, che è stata la tastiera di riferimento degli anni ’90, usata tra gli altri dal tastierista dei Toto e da Chick Corea. Infine, una Yamaha DX7II e il sintetizzatore Prophet 08, una recente riedizione full analog basata sul vecchio Prophet 5, che per un “petergabrielano”come me è un must have. Uno strumento ottimo, in quanto ha il suono del vecchio strumento ma il sistema di gestione facilitato di un macchinario moderno. Mi aiuta come musicista, ma è fondamentale anche nella mia attività di fonico e produttore artistico. Un classico dei synth analogici.Sembri attrezzato per una vera e propria fabbrica di suoni!
Sui suoni ho gusti molto “asciutti”, la prima cosa che faccio sulle tastiere digitali è abbassare le quantità di riverbero. Non sono mai stato un fan dell’effettistica, mentre, decisamente, ho sempre puntato sulla pasta sonora principale, su pochi timbri, ma funzionali.
Una piccola divagazione chitarristica: per amplificare il Rhodes faccio uso di un Vox AC30. Non mi piace il suono diretto in D.I. , preferisco suoni leggermente saturi, controllati dalla dinamica della mia mano, puliti quando suono piano e leggermente in overdrive quando “picchio” di più. Uso alcuni pedalini tra cui un Big Muff, che per dare cattiveria ai power chords non ha eguali. Praticamente sempre, metto tra il piano e l’input dell’ampli un pedale analogico datato 1984, il TC Electronic Phaser TC XII B/K, mentre talvolta uso in send-return un G-Major, sempre TC Electronic, per i delay ed altre modulazioni. Anche qui, assai raramente uso del riverbero.E per quanto riguarda le “fonti d’ispirazione”?
Una particolarità nella mia “carriera” di musicista è che non ho mai avuto grandi idoli musicali tra i tastieristi, al di là di quelle due o tre figure mitiche che ho già parzialmente citato. Sono più un passionista dei chitarristi, Brian May in primis, e soprattutto dei batteristi, che sono la mia passione assoluta. Conosco di sicuro molte più cose sulle batterie che non sulle tastiere a livello di strumenti, anche se può sembrare strano.Riesci ancora a suonare molto?
Purtroppo attualmente riesco a farlo davvero poco perché la mia attività lavorativa, l’altra mia grande passione, mi assorbe quasi al 100%. Ma quando posso trovo sempre il tempo di suonare con gli amici o di prestare la mia collaborazione durante sessions di registrazione e produzioni a vari livelli.Finisce qui la Pt.1 dedicata all’ “Andrea-musicista”, per saperne di più sull’ “Andrea-fonico”… stay tuned per la Pt.2!
Salvatore “Badmirror” PaganoAndrea Pellegrini