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Michele Avella, un numero One dai Pink Floyd a Ellington

Intervista a Michele Avella: numero One - Il batterista casertano e il primo album a suo nome

Oggi intervistiamo il batterista casertano Michele Avella, tra i nomi emergenti del drumming italiano, a un anno dall’uscita del suo primo lavoro solista.

One, il primo album a tuo nome, vede la partecipazione di due autentici fuoriclasse dei rispettivi strumenti, Pippo Matino al basso elettrico e Rocco Zifarelli alle chitarre. È stato complicato aggiudicarseli per farli suonare sull’album? E a quando risale la vostra collaborazione?

Ciao a tutti! È un onore e un grandissimo piacere rispondere alle domande di MusicOff. One è stato un esperimento, in realtà: ho avuto la fortuna di poter contare sullo stimolo di un mio grande amico – nonché mio avvocato – Mirko Persichilli per realizzare il disco. Con Pippo Matino abbiamo condiviso tante serate, con Rocco Zifarelli invece no, ma lo seguivo da tempo. E quando Mirko mi disse che mi avrebbe prodotto il disco pensai subito a loro! Grandi musicisti che ho sempre stimato.
Si è trattato di un vero e proprio live in studio registrato in due giorni. Quando lo proposi a Pippo si mostrò davvero entusiasta dell’idea e grazie a lui riuscimmo a coinvolgere Zifarelli.

Michele Avella - One

L’album è decisamente orientato al funky e alla fusion, e anche i due standard jazz che hai incluso – “Caravan” di Ellington e “Yesterdays” di Kern . sono arrangiati ritmicamente in maniera omogenea rispetto al resto del repertorio. Ritieni ci sia spazio, in Italia, per portare dal vivo progetti di musica strumentale come il tuo?

Un disco dal sapore sicuramente fusion non trova molti sbocchi qui in Italia, ma al momento della realizzazione non ci sedemmo a tavolino per realizzare qualcosa di commerciale; ripeto, fu un esperimento artistico senza pensare al riscontro sul mercato discografico. Ovvio che stiamo attualmente valutando le varie proposte sia come etichette sia come management.

L’album comprende una versione in trio di “Money” dei Pink Floyd: come si affronta il brano in sette forse più famoso della storia del rock? E qual è il tuo approccio ai tempi dispari?

“Money” fu proposta da Matino: sapeva che mi piacciono le scomposizioni, le polimetrie, eccetera, e quindi mi chiese di giocare attorno al tempo cercando di mettere in risalto il mio fraseggio come se fosse una sorta di assolo continuo, e così è nata quella traccia video “Money”.

Per essere il disco di un batterista, colpisce il fatto che One non presenti alcun assolo di batteria, se si eccettua la coda sul finale di “Yesterdays”…

Mi piace molto giocare sul tempo e improvvisare mentre la musica scorre… E quindi sul pedale finale di “Yesterdays” mi è venuta istintivamente l’esigenza di farci un assolo, ma nulla di costruito: sono un tipo imprevedibile, ahah.

Nelle note di copertina dici, a proposito dell’album, che contiene “in un piccolo racconto musicale un grande viaggio  fatto di emozioni e sensazioni“. Che spazio ha la tecnica strumentale nel tuo racconto e in questo tuo viaggio più in generale?

L’aspetto tecnico è stato fondamentale per la mia crescita musicale. Sempre comunque al servizio della musicalità. Mai la tecnica fine a se stessa.

Facciamo un passo indietro e torniamo ai tempi della tua formazione musicale: quali gli incontri più importanti, che hanno contribuito a fare di te il musicista che sei oggi?

Il musicista che sono oggi è il frutto di percorsi didattici importanti. Il periodo dell’UM (Università della Musica, struttura didattica della capitale chiusa ormai da oltre 10 anni, NdA) è stato fondamentale: l’incontro con grandi nomi della didattica fa la differenza quando si ha il giusto mix di dedizione e passione.
Ricordo con grande piacere quel periodo in cui si sono susseguiti come insegnanti Ettore Mancini, Fabrizio Sferra, Claudio Mastracci e Maurizio Dei Lazzaretti. Ognuno di loro ha lasciato in me, oltre all’aspetto puramente didattico, qualcosa forse di più importante: credevano in me, mi hanno sempre stimolato ad andare avanti!
Avevo 17 anni quando intrapresi l’UM (Avella è nato nel 1981, NdA) e presto iniziarono le prime esperienze lavorative.

Michele Avella

Quali sono state le esperienze professionali più importanti maturate sinora?

Ho ascoltato sempre tanta musica e di diverso genere, e di conseguenza mi sono ritrovato a lavorare in diversi contesti, dal Pop (Anonimo Italiano, Paolo Vallesi, Equipe 84, Luisa Corna) alla Fusion (con Pippo Matino, Javier Girotto, Ares Tavolazzi, Simon Fitzpatrick, Carl Potter) al Folk (MBL, Erasmo Petringa, Giancarlo Parisi)… Insomma, ho sviluppato sin dall’inizio una certa predisposizione per i diversi linguaggi.

Sei molto impegnato sul versante didattico: quali sono i caposaldi della tua attività di insegnante? Ci sono dei metodi o degli argomenti che ritieni assolutamente imprescindibili?

La didattica occupa una parte molto importante nella mia vita. Ho sempre coltivato questo aspetto dell’attività musicale, a mio avviso imprescindibile dal ruolo di musicista. Penso sia un’esigenza, almeno per me. Da qualche anno ho buttato giù un programma diviso in cinque volumi più tre di perfezionamento. All’interno, oltre a materiale mio scritto negli anni, si trovano diversi metodi per me fondamentali: Stick Control, Syncopation di Ted Reed, Gary Chaffee, Kim Plainfield, Charlie Wilcoxon, Jim Chapin e tanti altri.

Michele Avella

In quali strutture svolgi la tua attività didattica?

Quest’anno sarò alle Officine Musicali di Cassino, agli AG Studios di Roma, alla MusicArt di Roccasecca (FR), Suono Matica di Frosinone e alla IMS di Isernia.

Parlando invece di strumenti, quali sono i tuoi ‘ferri del mestiere’?

Sono endorser dal 2013 delle batterie Dixon: uso un modello Fuse con cassa 22″, rullante 14″, tom 10″ e 12″ e timpano 16″. I piatti sono UFIP, serie Bionic, Class e Blast. Bacchette Facus 5B.

Vorrei conoscere la tua opinione su un tema delicato, ossia il rapporto che deve instaurarsi tra artista e casa che produce o distribuisce gli strumenti musicali.

Ho sempre immaginato il rapporto tra artista e distributore come una sorta di legame sul quale instaurare rapporti di stima e fiducia. Ho sempre visto un endorsement come qualcosa di importante, un ruolo artistico che ha una certa responsabilità. Non bisogna per forza sposare una causa se non ci credi veramente. Avere un supporto nella tua attivita artistica è un traguardo che va conquistato con risultati e sacrifici e non comprato!
Questa è la mia visione.