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Frank Pilato e Andrea Marcelli – Stories

Oggi ci occuperemo di un lavoro davvero molto interessante, considerato soprattutto che porta con sè un'eredità artistica per niente trascurabile, ma andiamo per ordine perché il disco di cui voglio parlarvi porta il titolo di "Stories", anche se la storia che lo precede è solamente una e davvero molto intrigante;

Oggi ci occuperemo di un lavoro davvero molto interessante, considerato soprattutto che porta con sè un’eredità artistica per niente trascurabile, ma andiamo per ordine perché il disco di cui voglio parlarvi porta il titolo di “Stories”, anche se la storia che lo precede è solamente una e davvero molto intrigante; il progetto dietro questo bellissimo disco, che sarà sicuramente caro a chi, come me, è appassionato di quella Fusion funambolica tanto in voga durante gli anni ’80, si basa sulla collaborazione di due artisti italiani: Frank Pilato ed Andrea Marcelli.L’idea di base risale al lontano 1992, quando Andrea Marcelli, insieme a Gary Willis e Allan Holdsworth iniziò a lavorare a questo progetto che però non vide la luce a causa di un impedimento contrattuale dello stesso Holdsworth, al quale non fu concesso di poter suonare sul disco.In questo modo rimasero solamente alcune tracce prive di chitarra ed il disco in abbandono. Qualche tempo fa però è avvenuto l’incontro che ha permesso al progetto di rianimarsi e al disco di vedere finalmente la luce, vi sto parlando dunque della collaborazione tra Pilato e Marcelli, che, nata per caso, ha portato ad un risultato davvero stravolgente, come potrete ascoltare voi stessi. Il resto della storia ed i dettagli della stessa sono abbondantemente trattati dallo stesso Frank Pilato, che ho avuto il piacere di intervistare personalmente, e del quale potete leggere di seguito. Addentriamoci ora nell’ascolto del disco, cercando analizzare in maniera più approfondita la tracklist. Si parte con “Yesterday Afternoon“, nella quale il sound di cui vi parlavo prima si palesa spavaldo e chiaro, annunciando in qualche modo che tipo di atmosfera bisogna aspettarsi dal prosieguo. La chitarra è presente con note molto lunghe e tenute, mentre il piano resta sempre presente anche nel comping oltre che nella sezione di assolo. La chitarra emerge ancora una volta in un assolo funambolico che fa emergere quanto sia stato meticoloso il lavoro di Frank Pilato nello stare sulla via tracciata da Holdsworth e quanto il suo playing possa esser in qualche modo ritenuto simile anche se assolutamente personale. “Reflections” è molto più rilassata e melodiosa, una ballad assolutamente basata sulla melodia e la scelta decisa di colori armonici oltre che ritmici. Arriviamo subito alla title-track, “Stories“, che con una intro di piano proietta subito in un monda fatato, sembra davvero essere la soundtrack perfetta per una scena che ritrae il ricordo di un sogno. “Speaking to you” esordisce con una melodia di chitarra ricca di note lunghe e sostenute che evolve poi in una serie di frasi meravigliosamente out, come si dice in gergo.The Rainbow Thief” torna sulla scia della fusion classica di cui abbiamo già parlato, con un brano ricco di accenti ritmici, tempi composti, assolo di chitarra immediato e veloce, insomma una traccia che in un minuto riesce a riassumere alcuni dei capisaldi del genere. La traccia successiva, “Eclipse“, l’ho trovata molto più jazzy, probabilmente impressione dovuta alle gesta di Forman, che lascia trasparire tutta il suo virtuosismo e le sue velleità ritmiche. “Yesterday Afternoon Groove” non tradisce e nel suo minuto di durata sembra proprio essere espressione ritmica pura in un piccolo intramezzo dedicato alla sola batteria. “Letters” è invece una ballad riflessiva, sognante e melanconica, sembra già ricca di ricordi, o da in qualche modo la possibilità di riportarli alla mente, qualsiasi essi siano. “Stories Reprise” parte con riff di piano molto movimentato e continua su questa scia fino alla fine trovando nel mezzo il supporto melodico della chitarra. “The Ant” chiude in bellezza, in cinque minuti di musica sembra racchiudere una vera e propria suite, ascoltare per credere. Ci troviamo dunque di fronte ad un lavoro fenomenale, fatto da musicisti di altissimo livello come Andrea Marcelli, Frank Pilato, Jeff Berlin, Mitchel Forman e Gary Willis. Ascoltare questo disco è stato un vero piacere e il consiglio che posso darvi è semplicemente quello di fare la stessa cosa al più presto possibile. Vi lascio ora all’intervista di Frank Pilato, che è stato così gentile da darci ulteriori delucidazioni su questo lavoro.Carlo Romano GrillandiniIntervista a Frank Pilato:Ciao Frank, vorrei iniziare la nostra intervista direttamente da una tua presentazione del disco Stories, parlami un po’ di come nasce il progetto e come si sviluppa fino al raggiungimento di questo ottimo risultato. Questo progetto nasce da una richiesta che feci ad Andrea Marcelli di collaborare con me all’arrangiamento di un brano che doveva essere sul mio disco solista, Spettri, progetto tra l’altro ancora attivo. Da lì Andrea mi disse che in quel momento era abbastanza indaffarato, però aveva in mente di concludere un progetto iniziato con Allan Holdsworth nel 1993 e di cui aveva delle incisioni ancora in buone condizioni, chiedendomi di collaborare con lui per concludere il lavoro nel quale avrei suonato al posto di Allan. Ovviamente dopo aver ascoltato le parti già incise, che in effetti erano in ottime condizioni, ho iniziato subito a studiare per suonare parti secondo quello stile. Quindi in effetti è stato un incontro casuale, visto che ho chiesto una cosa e lui subito me ne ha proposto un’altra. In questo modo è iniziata la storia di questo disco, anche se poi i primi problemi che abbiamo dovuto fronteggiare sono stati la completa mancanza del pianoforte, per il quale abbiamo trovato l’ottimo sostegno di Mitchel Forman, e anche alcune parti di basso, eseguite poi sul disco da Jeff Berlin, che ha svolto davvero un ottimo lavoro. Benissimo, a questo punto passerei a qualcuna di quelle domande che tanto piacciono a noi chitarristi, e quindi vorrei sapere che chitarre hai utilizzato per le incisioni, che amplificatori e così via. Come chitarre ho utilizzato diverse Steinberger con pickup Carvin e corde .010 GHS, registrando le tracce con chitarra clean. Successivamente abbiamo re-amplificato le tracce in studio utilizzando diversi pedali molto in voga negli anni ’80, proprio per ricreare quel fusion sound tipico con pedali come il Tube Driver, un Boost della Tc Electronic, il tutto su un finale Mosfet con cassa 4×12 Rock City, cercando di regolare il tutto per ottenere un suono molto cremoso e fluido con l’ausilio di un equalizzatore parametrico della MXR. Per quanto riguarda il Delay, ne ho utilizzato uno Yamaha, precisamente l’UD Stomp, e in più qualcuno presente in Pro Tools. Penso che il sound, per il genere preso in considerazione, sia davvero un elemento fondamentale insieme al fraseggio, che tra l’altro ho sviluppato attingendo da “Thesaurus of Scales and Melodic Patterns” di Nicolas Slonimsky, metodo che anche Allan ha utilizzato, oltre a tanti altri grandi della musica. Ora che Stories ha finalmente visto la luce, avete intenzione di presentarlo dal vivo? Certo lo presenteremo dal vivo al Jazz Festival di Berlino, oltre a me ed Andrea ci saranno altri musicisti, come Tobias Relenberg al sax tenore, Ludovico Fulci al pianoforte e Fender Rhodes (che tra l’altro ha militato per dieci anni nell’orchestra di Morricone), Carmelo Leotta al basso e Philippe Ciminato alle percussioni. Insomma una line-up di tutto rispetto. Per quanto riguarda invece l’esperienza personale, ti va di dirmi come ti sei trovato a collaborare con personaggi come Mitchel Forman e Jeff Berlin? Davvero una bellissima esperienza, soprattutto nello scoprire l’enorme bravura dei due. La cosa che mi ha stupito di più è stata la velocità in cui Jeff Berlin ha suonato e inciso le tracce di prova. Infatti dopo avergli inviato tutte le partiture, nel giro di una mezz’ora ho ricevuto una sua mail di risposta con i file audio allegati nei quali suonava tutto ciò che poi puoi anche sentire dal disco. Stiamo parlando di parti non esattamente semplici, che lui ha letteralmente divorato suonandole praticamente a prima vista. Per tutto il resto viene facile pensare che trovarsi in un contesto con nomi del genere può portare alla volontà e al desiderio di mettersi in gara per far vedere quanto si possa essere capaci di suonare in un determinato modo ed affrontare parti estremamente complicate. Quindi, nonostante tutto, ho evitato nel modo più assoluto di vedere la cosa sotto un punto di vista della sfida, ma ho sfruttato la situazione per spronarmi nel creare la migliore musicalità possibile. Mi ispiro molto alle colonne sonore per quanto riguarda le melodie e i suoni, quindi l’utilizzo di note molto lunghe e suoni che ricordano poco una chitarra e di più uno strumento a fiato o archi. In linea di massima posso dire che per la mia musica, che sia Pop, Fusion o Rock, io considero come punto di riferimento il lirismo. L’obiettivo che mi prefiggo è quasi sempre quello di ispirarmi a scene, quindi il più possibile al cinema, a registi come Fellini e Jodorowsky. È davvero una cosa interessante questa dell’ispirazione cinematografica, a registi in particolare. Ti va di approfondire in questo senso il processo d’ispirazione e l’approccio compositivo che hai avuto nella creazione di ogni brano del disco? L’ispirazione la trovo quasi sempre in opere ricche di lirismo, ad esempio per il solo di “The Ant” mi sono ispirato a “Prélude à l’après-midi d’un faune” di Claude Debussy, di fatto l’attacco del solo stesso ricorda una parte di questo poema sinfonico. Per il resto gran parte dell’ispirazione deriva proprio dal cinema. Per me la cinematografia è molto importante, ho sempre pensato al cinema come alla massima forma di arte: l’arte più grande di tutte che contiene dentro di se tutte le altre forme artistiche. Un brano del disco è ispirato a un film del 1962, “L’eclisse” di Michelangelo Antonioni, film molto profondo facente parte della tetralogia dell’incomunicabilità. “The rainbow Thief” è ispirato a un Film di Alejandro Jodorowsky, regista che ammiro tantissimo. Mi piace molto immedesimarmi nei personaggi dei film, come nelle pellicole di Fellini o dello stesso Jodorowsky. Spesso quando mi manca l’ispirazione, guardo una loro opera, anche da una singola inquadratura, da silenzi lunghissimi o da un singolo sguardo di un personaggio si riesce a carpire l’essenza del sentimento, “Clown” di Fellini è qualcosa di magnifico. Per quanto riguarda l’ambito di musicisti o chitarristi tout-court, quali sono i tuoi idoli, i personaggi che hanno in qualche modo definito il tuo playing? I chitarristi che mi hanno influenzato sono stati Jeff Beck, Scott Henderson, Allan Holdsworth, Yngwie Malmsteen per i vibrati violinistici, Greg Howe per il Timin’. I compositori sono davvero tantissimi, troppi. Benissimo Frank, ti ringrazio per la tua disponibilità e per la tua gentilezza, è stato un piacere conversare con te. Tanti auguri per questo meraviglioso Stories, che attendiamo di ascoltare dal vivo al più presto.Ti lascio lo spazio per salutare tutti i lettori di MusicOff. Grazie a te Carlo, il piacere è tutto mio, mando un grande saluto a tutta la community e a MusicOff che è davvero uno dei migliori canali per i musicisti in Italia e non. Un saluto a tutti.Carlo Romano Grillandini