Il sole ancora non riesce a farsi largo dietro l’orizzonte, solo un piccolo spicchio di luce s’intravede sul fondo, là dove lo sguardo può arrivare. L’aria è fredda e quando tira male si sente ancora di più sotto le coperte e sotto il cappotto.
Non sono ancora le sei del mattino, che già sveglio di fronte alla scrivania sta il nostro fortunato protagonista.
Non è certo di me che si parla! No, non preoccupatevi io sarò solo il vostro narratore. Oggi, che lo vogliate o no, vi racconterò una storia, la storia di una mattinata, forse meno. Non vi cambierà la vita, ma quando tira male, non avete di meglio da fare che starmi ad ascoltare.
Dicevamo… Non sono ancora le sei che, seduto di fronte alla sua macchina da scrivere, sta il nostro protagonista. Con una mano s’aggroviglia i capelli, con l’altra si porta la matita alla bocca. Morde e addenta, in verità non è rimasto molto altro da masticare. Sono tempi duri, dicono i giornali, era un bel pezzo che non si vedevano tempi così. Il nostro caro personaggio si alza per andare verso il frigorifero, giusto per controllare che ci sia ancora qualcosa per passare la giornata.
È fortunato.
Torna di fronte alla macchina da scrivere, ma ancora non sa bene cosa battere con quelle sue dita ossute. Lo sa che è difficile, eppure ci crede e si dispera; perché non riesce a spiegare alla gente che nei libri, nella musica, nel movimento di una ballerina, in un quadro, ci sono gli appigli per arrivare al giorno dopo quando il pane scarseggia? Soprattutto quando il pane scarseggia!
Gli danno dell’idealista, dell’ipocrita perché lui ancora sta bene. La crisi fa male a quelli che stavano bene, ma ammazza quelli che stavano male. Di cosa si preoccupa lui con la sua arte? Intanto continua. I capelli sono ormai tutto un nodo e la matita man mano si fa sempre più storta. Bisogna tornare nelle strade. Bisogna tornare nei negozi, nella vita di tutti. La musica ha perso il suo valore. Non costa più nulla, che valore potrà mai avere?
Lui se lo ricorda bene cosa c’è nei dischi. Tanta fatica, sentimento, amore e vita. Quella vita che manca a chi è in crisi e non trova un momento per vedere le cose da lontano. Chi è in crisi non può staccarsi dalle cose, altrimenti perde l’appiglio e si perde.
La gente ha smesso di credere, ha perso la fede nel cambiamento. Tutto è presente, non si vede il futuro. Allo stesso modo s’è perso il progetto, la prospettiva. Non si ascoltano più le parole delle canzoni, non si guarda più ai sottili tratti d’un pennello, ma solo che il quadro sia ben appeso… Ah! Quanto è rattristato il nostro protagonista, dovreste vederlo… Si aggira per casa sconvolto. Prende allora una fotografia, è quella della sua ragazza. La guarda a fondo, ammirando quegli occhi color castano scuro, sempre ridenti e profondi. Mentre guarda la fotografia, si accorge che i contorni del volto si diradano dopo pochi secondi nella sua mente.
Allora riprova.
Distoglie lo sguardo e poi posa nuovamente gli occhi sul viso. Di nuovo, dopo poco, tutto ciò che vede sono solo colori, momenti, ricordi.
Le canzoni che li uniscono, le giornate trascorse insieme, il profumo dei suoi capelli, castani anch’essi, lunghi e sciolti al vento. I lineamenti del volto svaniscono dopo poco in una miriade di sensazioni e fermi immagine, tenuti insieme dal filo di Flamenco Sketches che dipinge il suo sorriso. Finalmente ha capito! Si fionda veloce alla scrivania e scrive. Scrive, scrive e ancora scrive. È fremente perché guardando negli occhi l’amore ha ritrovato la parola, nelle fotografie vediamo ciò che ci lega ad esse, per questo sono tanto importanti. Nei dischi sentiamo le emozioni di una giornata, il ricordo di un bacio, il tremore di un’attesa, in un quadro il profumo della colazione la domenica mattina, quando ancora la crisi non c’era. Nell’arte vediamo il tempo. Perché il tempo siamo noi.
Il tempo sono i nostri cambiamenti, le nostre relazioni, il nostro passato e i nostri progetti. Ecco che in questi ultimi nasce il futuro. In momenti di crisi si dice che non c’è tempo da perdere. Proprio per questo la cultura è fondamentale, perché è l’unica capace di fermare il tempo. L’unico e solo modo per non perderci nell’oblio del giorno che sembra non finire e che pare volerci sopprimere.
Ognuno ha i suoi dischi e i suoi quadri, perché nei dischi ci siamo noi. Dialoghiamo con Davis e Rembrandt, gli affidiamo le nostre cose più care, gli chiediamo di ricordarci chi siamo quando anche per noi è difficile saperlo. Proprio per questo talvolta quando il giorno si fa più duro, immergendosi in “quel tipo di blu”, un piccolo bagliore spunta in fondo al nostro animo.
È allora che ci ricordiamo perché abbiamo comprato quella maglietta ormai scolorita, perché ci siamo innamorati di quel disco, di una donna e in fondo della vita. Una vita che proprio nei momenti più duri si fa sentire più forte e bisogna tener ben stretta, quando sembra sfuggire portata via dal vento o una folata di amarezza. L’arte e la cultura devono farsi metodo di sopravvivenza per non paralizzarsi sul piatto vuoto. Certo non lo riempiranno, ma ci aiuteranno a volgere lo sguardo altrove, mentre continuiamo a darci da fare per raddrizzare un periodo che non va.
È nel momento più feroce che ascoltando Miles anche stringere la cinghia a volte diventa più facile, spesso, proprio quando ne abbiamo bisogno.
Francesco Sicheri
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