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Suoniamo Born Under a Bad Sign di Albert King

In questa nuova puntata affronteremo un brano importantissimo del blues di fine anni '60: "Born under a bad sign" di Albert King.La canzone compare per la prima volta nel 1967, inclusa nel secondo album del bluesman originario del Mississippi. Il disco nella sua interezza è un importante contributo al blues moderno, a

In questa nuova puntata affronteremo un brano importantissimo del blues di fine anni ’60: “Born under a bad sign” di Albert King.
La canzone compare per la prima volta nel 1967, inclusa nel secondo album del bluesman originario del Mississippi. Il disco nella sua interezza è un importante contributo al blues moderno, avvalendosi della collaborazione del produttore Booker T Jones e della sua band dell’etichetta Stax (molto importante all’epoca per le produzioni soul e r’nb); band in cui è presente un grandissimo chitarrista/turnista/produttore autore della ritmica che studieremo oggi, Steve Cropper.

Se non avete mai approfondito la conoscenza di Albert King o di Steve Cropper, questo brano sarà una buona scusa per entrare più nel dettaglio della scena blues moderna e scoprire due nomi che in 4 anni di sodalizio artistico hanno dato moltissimo alla chitarra elettrica.

Veniamo dunque al brano e alla primissima caratteristica che lo discosta un po’ dal blues che già conosciamo: la struttura resta di 12 misure ma viene in qualche modo spezzettata in due gruppi, uno da 8 e un altro da 4, con il turnaround presente nel primo gruppo.

Siamo in tonalità di C# e, anche se il riff può trarci in inganno facendoci credere di essere in tonalità minore, teniamo sempre a mente che stiamo parlando di blues e quel dualismo maggiore-minore è sempre preponderante, soprattutto in brani come questo fortemente crossover con altri stili quali funk e soul.

Il riff principale è la forza motrice di tutta la canzone e lo possiamo tranquillamente annoverare tra i migliori riff blues di sempre per la sua semplicità e impatto sonoro; molto spesso quando si scrive un riff così si potrebbe rischiare di entrare in un loop compositivo molto ripetitivo, ma è qui che capiamo subito la grandezza di un chitarrista come Steve Cropper. Nel passaggio fra refrain e verse, Cropper si limita ad accompagnare una variante del riff con molte meno note e un hammer-on con i sedicesimi (come vedete a battuta 11 della chart), scendendo di dinamica per dare più spazio alla voce di Albert King.

Solo nel turnaround troviamo accordi pieni a barrè (G#7 e F#7), come ulteriore riprova del talento di Steve Cropper nel creare ritmiche tecnicamente semplici ma a totale servizio compositivo del brano.

L’unica raccomandazione che vi do per studiare è quella di ascoltare più volte e attentamente la canzone e di suonarla tantissimo insieme alla versione originale, cercando di carpirne l’intenzione sia del sound che del groove. Buono studio!

Nella prossima puntata vedremo un altro brano di Albert King, “Killing floor”.