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Trophy Scars – Holy Vacants

Il sapore inconfondibilmente americano che pervade "Holy Vacants", quarto album degli eclettici Trophy Scars, deriva da un'attenta scelta di ingredienti rigorosamente "Made In USA", sia sul piano narrativo che su quello musicale. Ingredienti che, a dire la verità, presi individualmente ci suonano anche piuttosto banal

Il sapore inconfondibilmente americano che pervade “Holy Vacants”, quarto album degli eclettici Trophy Scars, deriva da un’attenta scelta di ingredienti rigorosamente “Made In USA”, sia sul piano narrativo che su quello musicale. Ingredienti che, a dire la verità, presi individualmente ci suonano anche piuttosto banali, ma che la band del New Jersey ha il merito di mescolare come mai nessuno aveva fatto prima.”Holy Vacants” unisce, infatti, ad un classico blues-rock che sembra rispettare gli stereotipi più in voga (basti ascoltare “Archangel“) numerose sfumature, che vanno dall’hard all’alternative passando per il progressive, ornate inoltre da un gusto per gli arrangiamenti ricercati (tra archi e tastiere), cori gospel e un alone di post-hardcore (genere che, del resto, meglio descrive il lavoro con cui la band ha debuttato nel 2002).Di gusto tipicamente statunitense è anche la trama scritta dal frontman Jerry Jones, in cui una coppia di rinnegati sul modello di “Bonnie & Clyde” ricerca la fonte della giovinezza eterna in scenari surrealmente lynchiani. Un copione che è, inoltre, messo in scena in maniera estremamente teatrale: voci maschili (con un narratore principale che alterna melodia ad un’aggressività che non sfigurerebbe in un album thrash metal) e voci femminili si rincorrono e dialogano durante l’intero album.L’ambiziosità concettuale alla base di “Holy Vacants” è poi sostenuta da un songwriting altrettanto temerario; pur partendo, come già detto, da elementi tutt’altro che originali, i Trophy Scars riescono a costruire dei brani sorprendentemente avvincenti, che strabordano dai rassicuranti confini dei generi attraverso un’ammirabile ricchezza di suoni e cura nei dettagli.In questo modo le ombre dei Guns N’ Roses che aleggiano nei brani più corrosivi, quella di Hendrix nella chitarra che segna i ritmi spensierati di “Everything Disappearing” o quelle dei The Mars Volta che si impossessano di uno degli interlocutori in “Chicago Typewriter” non prendono mai il sopravvento sulla personalità della band, che fa anzi da collante tra elementi così eterogenei.”Holy Vacants” è, quindi, un epico susseguirsi di brani stratificati ed intensi che travolgono l’ascoltatore. Canzoni come “Qeres“, “Crystallophobia“, “Vertigo” o “Burning Mirror” ben esemplificano la capacità della band di creare strutture che sanno suonare tradizionali ma innovative allo stesso tempo, mettendo in mostra, inoltre, una notevole capacità nel creare climax maestosi, catartici e mai banali. Per concludere, i Trophy Scars ci offrono un lavoro coinvolgente, godibile e di una qualità tale da non poter assolutamente passare inosservato.Francesco CiceroGenere: Blues RockLine-up:
Jerry Jones – voci
John Ferrara – chitarra, voci
Brian Ferrara – batteria, voci
Andy Farrell – basso, voci
Gray Reinhard – tastiere, vociTracklist:
1. Extant
2. Qeres
3. Archangel
4. Crystallophobia
5. Burning Mirror
6. Hagiophobia
7. Chicago Typewriter
8. Vertigo
9. Gutted
10. Every City, Vacant
11. Everything Disappearing
12. Nyctophobia