HomeMusica e CulturaIntervisteQuel fantasma sul palco che suona il Blues

Quel fantasma sul palco che suona il Blues

Torniamo indietro nel tempo di qualche anno con questa intervista a Johnny Winter, personaggio unico nella storia del Blues e della chitarra elettrica.

L’aspetto spettrale, quasi diafano, e la preoccupante magrezza contrastano con una chitarra aggressiva quanto la voce rauca e una grinta che riempie il palco e muove il pubblico, pronto a ballare sulle note di un blues saturo dell’energia del rock’n’roll.

Quel fantasma sul palco che suona il Blues

Quando Winter appare sul palco di Pistoia Blues, nella storica piazza della cittadina toscana, sembra una vera apparizione, con il torso nudo che mette in mostra gli ampi tatuaggi e due grossi ventilatori sparati direttamente sulle magre spalle. È minuto, esile, con il candore della pelle che va di pari passo con quello dei lunghi capelli albini sotto l’ampio cappello texano.
Quando mi accompagnano a intervistarlo, all’interno del pullman che porta la band in tour, è nascosto nella penombra, leggermente inquietante, prima di iniziare a parlare e mettere allo scoperto la grande passione per la musica, il Blues, i suoi ‘padrini’ artistici…
Nel 1989 Johnny Winter è un mito stagionato ma non invecchiato, un reduce di Woodstock che ne ha passate tante, come la maggior parte dei suoi amici dell’epoca, ma non ha mai mollato. 

Dagli alti e bassi degli anni settanta era uscito grazie all’occasione di produrre in studio uno dei suoi massimi riferimenti, Muddy Waters, con il quale aveva realizzato ben quattro album vincendo vari Grammy Award.
Da allora fino al momento dell’improvvisa morte nel 2014, in un hotel svizzero due giorni dopo l’ultimo concerto, Johnny Winter ha continuato a incidere e a esibirsi, focalizzando sempre sul Blues, la musica che l’aveva colpito al cuore fin da ragazzo. Ha senza dubbio aperto la strada a molti chitarristi che l’hanno seguito, texani e non, ma nessuno l’ha mai potuto imitare.
Nell’intervista si addentra anche nella tecnica e nella strumentazione, argomenti in cui si è espresso sempre con una certa dose di originalità…

IL BASTARDO MI RALLENTAVA…

Usi sempre il thumbpick, il plettro da pollice?

Sì, ma anche le altre dita della mano destra a volte. Quasi sempre il pollice nei passaggi veloci.

Però non sfrutti mai un vero proprio schema da fingerpicking?

No… non nello stile che può usare uno come Chet Atkins: conosco un paio di quei pezzi ma non li suono negli show… Tra I’altro è proprio questa la ragione per cui ho cominciato a usare il thumbpick, l’amore per Chet Atkins e Merle Travis, che riuscivano a suonare contemporaneamente l’accompagnamento con il pollice e la melodia con le altre dita della destra. Quando avevo undici o dodici anni prendevo lezioni da un chitarrista piuttosto esperto nello stile di Atkins e lui usava il thumbpick, così cominciai a farlo anch’io… E più tardi, quando tentai di usare un plettro normale, piatto, scoprii che non ero capace! Il bastardo mi rallentava e non sono mai stato capace di adattarmi.

Quel fantasma sul palco che suona il Blues

IL BOTTLENECK… QUESTO SCONOSCIUTO

Cosa mi dici della slide? Hai uno stile molto fluido, articolato, con il bottle-neck…

Quando ho sentito la prima volta quei suoni non sapevo neanche cosa fossero… credo si trattasse di Muddy Waters, i suoi primi dischi. Non capivo bene, pensavo fosse qualcuno che suonava una steel guitar… Credo di essermi fatto un’idea più precisa dopo aver ascoltato le vecchie incisioni di Robert Johnson, Son House, quando qualcuno mi ha spiegato come tagliassero i colli di bottiglia per usarli sulle corde, ma la prima volta pensavo fosse una steel guitar anche se mi rendevo conto di come Muddy Waters alternasse delle note ‘slide’ ad altre in cui chiaramente le dita della sinistra lavoravano sulla tastiera. Quando ho capito di cosa si trattava ho cominciato ad ascoltare attentamente i dischi e quando apri bene le orecchie puoi riconoscere il suono di una corda a vuoto da una ‘tastata’.
Dovevo riuscire a scoprire questa tecnica direttamente dalle incisioni e, quando finalmente ho trovato del materiale scritto, ho saputo qualcosa di più delle accordature necessarie, le ‘open tunings’, e questa è stata la parte più difficile.

Quali accordature usi ora con la slide?

Accordature aperte in MI, LA, SOL o RE sulla Firebird. Stanotte ho usato solo quella in MI.

Quel fantasma sul palco che suona il Blues

QUALSIASI COSA, SE NO TI AMMAZZANO…

Stasera hai fínito la serata con due pezzi tradizionali dal repertorio old-time/country come “Wildwood Flower” e “Under The Double Eagle”…

Pensa che per i rock’n’roll fan sono sempre motivo di confusione. È per questo che amo suonare quei pezzi, perché il pubblico è colto di sorpresa e nessuno riesce mai a riconoscerle. A volte vengono a chiedere “Cos’è quella strana cosa che hai fatto alla fine?”, ma è difficile che qualcuno le riconosca.

Le suoni dunque solo per divertirti o proprio per mettere un pizzico di musica tradizionale nel repertorio?

Per tutte e due le ragioni. È divertente e riesce a sbilanciare il pubblico. Per circa dieci anni della mia vita, prima che riuscissi a sfondare con i dischi, ho lavorato nei club e in quei posti devi essere capace di suonare musica di ogni genere. Questo mi manca, in qualche modo, perchè una volta raggiunto il successo la gente si aspetta da te una cosa ben precisa che, per quanto mi riguarda, è il blues o il rock-blues, ma per dieci anni ho suonato un po’ di jazz, un po’ di country & western, ogni tipo di musica del sud. Ora mi rimane la nostalgia di tutto questo e così, ogni tanto cerco di infilare nel repertorio qualche brano di allora.

Tutto questo non combacia con la tradizione chitarristica texana di mettere assieme generi diversi in un unico stile? Pensavo a gente come T-Bone Walker o, ancora di più, Gatemouth Brown…

Sì, questo è certamente nella tradizione texana. Sei costretto a farlo! Laggiù devi essere capace di suonare di tutto o qualcuno prima o poi ti ammazza (ridacchia). Vogliono sentire le canzoni che gli piacciono… (imita la voce di uno spettatore ubriaco): “Suona quella canzone! Suona quella fottuta Wildwood Flower…” Capisci? Se lavori in quei club devi adattarti.

MUDDY WATERS

Che cosa è rimasto nella tua musica dell’esperienza con Muddy Waters?

Mah… niente che non ci fosse già! Lui è stato per me un’influenza così grande… ho passato tutta la vita ad ascoltare i suoi dischi e quando ho avuto finalmente la possibilità di suonare, registrare assieme… Odiavo letteralmente i dischi che aveva realizzato negli anni immediatamente precedenti alla nostra collaborazione mentre amavo le prime incisioni, ed ero sicuro che potevo dargli una mano ad ottenere qualcosa di meglio. Puoi immaginarti come mi sono sentito quando il suo manager ha contattato il mio chiedendomi di suonare con lui e produrlo! Ero convinto di conoscere il tipo di suono che Muddy cercava e non dovevo fare altro che aiutarlo in questo senso, riportarlo a ciò che aveva già realizzato in passato e da cui si era allontanato.

A farti entrare nei panni del produttore è stato solo il piacere di lavorare con un personaggio che amavi o ti piace in generale produrre altri artisti?

Mi piace produrre, ma la mia passione rimane sempre suonare. Con Muddy è stato più che un piacere. Per quanto riguarda la parte musicale bisogna ricordare che negli studi ci sono state talmente tante innovazioni da impormi la presenza di un tecnico capace, visto che io ne capisco veramente poco. Ho bisogno che mi spieghino come ottenere quello che ho in testa e il mio problema base è farmi capire con sufficiente chiarezza, visto che non sono in grado di dire “Usa questo o aggiungi un po’ di quest’ altro!”  

Quel fantasma sul palco che suona il Blues

FIREBIRDS E LOWDOWN TUNING

Jon Paris mi ha detto che nel brano in cui usavi la Firebird accordata in open-E ha dovuto cambiare basso, perché per il resto dello spettacolo la tua chitarra è accordata più bassa.

Sì, l’altra chitarra è un tono sotto, accordata normalmente…

Per avere più controllo sulle corde, sul bending?

Esattamente. Prima, sulla Firebird, usavo una scalatura di corde che partiva da .009, così, quando ho comprato la Lazer e ho scoperto che montava delle .010, le ho subito abbassate di un tono. Avevo comprato la maledetta solo per le sue dimensioni, perché era comoda per esercitarsi nelle camere d’albergo o dovunque…

E la tua associazione con le Gibson Firebird era già mitica…

Oh, sì. Molti si incazzano se non la porto sul palco almeno per un pezzo. Sulla Lazer ci sono un humbucker e un single-coil che uso sempre in congiunzione… L’avevo veramente presa solo per giocare e poi, un giorno, mentre registravo il primo disco con la Alligator, Guitar Slinger, la collegai all’ amplificatore e… amico! Aveva un suono stupendo! Allora c’era un solo pickup e I’ho usata così su gran parte di quell’album, poi ho fatto aggiungere I’altro perché mancava ancora qualcosa

Suoni spesso la tua vecchia National?

Oh, sì, anche nell’ultimo disco. Ma non l’ho mai portata sul palco. Non mi sento a mio agio senza manopole per il volume davanti a migliaia di persone: è uno strumento così tranquillo! Non ho mai suonato acustico, neanche nei club, anche se molta gente mi chiede di fare i pezzi con la National e a volte sono tentato di provarci. Ma se penso ai problemi che mi darebbe…

Per leggere l’intervista completa con gli esempi da suonare, acquista Chitarre n.35 in versione digitale scrivendo a [email protected].