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Corrado Rustici – Prima parte dell’intervista

Dopo la recensione di Aham pubblichiamo la prima metà della lunga e interessante conversazione con Corrado in cui ci parla della sfida per scoprire i veri limiti espressivi della chitarra, dell'innocenza necessaria per ascoltare la musica, del duro lavoro per avvicinarsi al suono reale di certi strumenti, di una chita

Dopo la recensione di Aham pubblichiamo la prima metà della lunga e interessante conversazione con Corrado in cui ci parla della sfida per scoprire i veri limiti espressivi della chitarra, dell’innocenza necessaria per ascoltare la musica, del duro lavoro per avvicinarsi al suono reale di certi strumenti, di una chitarra che canta magicamente con voce quasi umana e della necessità di esporsi personalmente per cantare un testo importante.

Corrado Rustici - Prima parte dell'intervista

In questo album hai un approccio diverso da quando tendevi a ridimensionare il ruolo di chitarrista per privilegiare quello di compositore ed evitare accuratamente la parte dello strumentista virtuoso. Qui succede quasi l’opposto.

La verità è che io mi sono stufato da diverso tempo di accettare la trance in cui la maggior parte dei chitarristi elettrici vive fin dagli anni ’60, e cioè che la chitarra ha questo ruolo, quel suono, si usa così… magari più distorsione, meno distorsione, ma è sempre la stessa pastella, no? Io a un certo punto mi sono proprio stufato e ho pensato che come per tutte le tecnologie, quando vennero fuori il pickup elettrico, il distorsore, gli echi e tutte le altre cose, arrivò qualcuno come Jimi Hendrix che usò la chitarra in una maniera che stiamo ancora cercando di replicare.
Il che è di una tristezza… e non perché non sia valido, ma perché credo che si possano fare delle altre cose. E allora mi sono dato questa sfida: “Voglio capire fino a che punto questo strumento può arrivare, cosa può fare.” Ed è stata da una parte una maledizione, perché adesso non sto a raccontare, a tediarti con sei anni di lavoro, su come la chitarra potesse suonare come un piatto di batteria piuttosto che violini o flicorni, etc… la benedizione è stata che mi ha dato la possibilità di creare un contesto in cui queste verità musicali avessero vita. Mi ha limitato ma mi ha espanso.
Poi, alla fine, detto tra me e te, non importa com’è fatta questa cosa, cioè, può interessare i chitarristi, ma alla fine è la musica che ti piace o non ti piace, comunica o non comunica. E quella è per me è sempre stata la priorità. Poi mi son detto: “Lo strumento che uso di più e con il quale ho più facilità ad esprimermi è la chitarra. Voglio vedere cosa la chitarra può fare, cosa posso fare io con la chitarra… in che modo posso trovare una nuova voce, un nuovo modo di usarla…
Ero molto interessato a quella cosa e ho iniziato questo cammino, prima con l’analisi dei suoni: qual è il suono del violino, qual è il suono del sassofono, che cosa lo compone, le frequenze, in che modo lo potevo replicare senza sintetizzatori o campionatori, usando solo chitarra acustica, chitarra elettrica, vari pedali analogici e un paio di plugin digitali che mi hanno aiutato… Sono tutti pedali normali. Una cosa interessante di questo esperimento è che sono venuti fuori dei suoni che sono piaciuti a un’azienda italiana con cui adesso sto sviluppando dei pedali ispirati a delle sonorità che sono sull’album. Credo siano abbastanza interessanti, i chitarristi si divertiranno con questi pedali… saranno presentati nei prossimi mesi.

Da sfida musicale sembra sia diventata una vera e propria sfida esistenziale, quella di rompere delle barriere, di confrontarsi con qualcosa di quasi impossibile…

Sì… beh, sai, la musica è solo manifestazione di quello che siamo. Io studio me stesso da diversi decenni e negli ultimi anni questa è diventata la mia unica priorità, scoprire l’essenza di quello che sono, una cosa che abbiamo sempre davanti ma non la vediamo perché non prestiamo attenzione,  e da qui è nato il titolo dell’album, Aham, e la semplicità con cui approcciare la musica… che poi non è così semplice… la semplicità nello scegliere lo strumento.
Però non mi volevo accontentare di fare il solito album di chitarra, ce ne sono a miliardi e anche fatti molto meglio di come lo potrei fare io con l’acustica o l’elettrica.
Volevo in ogni caso la complessità di frequenze, la verticalità di un prodotto arrangiato ma non volevo usare altri strumenti, solo la chitarra. Quindi, la sfida è stata quella, e quindi poi ha semplificato molto l’approccio, nel senso che non poteva essere basato sull’improvvisazione perché… Primo, è una noia mortale per me approcciare un album come shredder, non mi interessa e non mi ha mai interessato. Quindi non era basato sull’improvvisazione, anche se dei soli ci sono, che però, anche nel contesto di una cosa suonata solo da me, dovevano avere una funzione melodica, in qualche modo di “canzone all’interno della canzone”. Secondo, volevo capire… nonostante le influenze che ognuno di noi ha… in che modo potevo tirar fuori una voce abbastanza unica anche come chitarrista. Cosa che, come tutti i chitarristi, o almeno come quelli che vogliono dire qualcosa di diverso, rincorro da sempre.
Questa cosa qui mi ha dato il contesto in cui potevo tirar fuori melodicamente una cosa mia, che credo sia abbastanza personale, nonostante uno possa notare dei richiami, no? Che ovviamente ci sono, perché stiamo sulle spalle degli altri, però c’è un’identità, credo, anche a livello di chitarra. Per esempio, se penso a Miles Davis, che quando cominciò a usare la tromba col wah wah, era sempre lui, però cambia il modo in cui suoni e tiri fuori una voce tua, no?

Corrado Rustici - Prima parte dell'intervista

Andando sulla pratica e parlando tra musicisti, come riesci ad evitare quelle trappole, quegli automatismi che si presentano quando devi tradurre sullo strumento le cose che componi, scrivi? Hai un tuo metodo per non farti intrappolare negli schemi, per evitare che la chitarra diventi un fine e non solo un mezzo?

Sì, perché io ho una fortuna… anche nella veste di produttore, quando ascolto musica io non lo faccio mai da “viziato”, cioè da musicista analizzando “questo è così, questo… mi interessa…” Sono rimasto in qualche modo vergine, innocente: io ascolto musica come un ascoltatore. Nel caso di questo album è stato più difficile, però – avendoci messo così tanto tempo – ho avuto la fortuna di staccarmi per poi riascoltare, per sentire, per capire se era vero oppure no, e per quanto riguarda la scrittura delle canzoni… sono state arrangiate prima con l’orchestrazione piena per poi essere decostruite da me, parte per parte… nel caso degli archi primo violino, secondo violino, viola, violoncello, etc… lì ho scoperto la chitarra senza tasti che è stata di grande aiuto, perché le dita sul legno della tastiera hanno un suono che con i tasti non potevo avere.
Quindi tutti gli archi sono stati fatti con la chitarra fretless, anche i fiati… per esempio il corno inglese, quello che sembra un flicorno… chiaramente i suoni non possono che avvicinarsi a quelli reali, anche la batteria sembra batteria ma lo senti che non è una batteria. Ho suonato tutto e poi è diventato organico… credo che si senta questo calore, o almeno spero (ride)!

Credo proprio di sì. In questo senso, puoi dare qualche indicazione minima di come hai ottenuto almeno le cose più eclatanti? Sono convinto, ad esempio, che la maggior parte degli ascoltatori non crederà che i suoni percussivi siano stati suonati con una chitarra…

Però è così, e tra l’altro sono state le cose più semplici da costruire. La cosa più difficile è stata ad esempio suonare gli archi, creare le parti… c’è un brano che si chiama “Ananda’s First Steps” dove sono abbastanza contento dell’espressione del quartetto, gli archi che si sentono sotto. Quello non è facile da fare, la batteria è facile, forse è stata una delle prime cose che ho fatto e che poi ho limitato perché non volevo avere troppi suoni e, infatti, la parte ritmica è forse la più semplice, la base su cui ho costruito poi tutto.
Percuotere una chitarra acustica per tirarne fuori un suono di cassa oppure di rullante non è poi così difficile, almeno per me… io ci ho messo forse due-tre giorni a fare una libreria di venti suoni di cassa, venti suoni di rullante, e poi ne ho scelti due o tre che mi piacevano e che volevo tenere nel corso dell’intero progetto perché… hanno impostato un sound. E organizzarli ritmicamente in ProTools mi è stato facile, non ci vuole così tanto.
Quello che è difficile è invece… fare tutto il resto (ride)! O almeno io ho avuto difficoltà… all’inizio è stato difficile capire come avvicinarsi al suono di charleston che sembra uno shaker o a un piatto, però, una volta capito… è come un codice che riesci a svelare e – tac! – hai capito come si fa ed è fatta. Uno dei plugin che ho usato di più è stato il Frequency Shifter della GRM che è molto utile per fare queste cose, e infatti sia per la cassa che per rullante e piatti l’ho usato tantissimo. Però, rispetto al resto del lavoro è stata la parte più semplice…

Corrado Rustici - Prima parte dell'intervista

Sicuramente più semplice, immagino, delle incredibili parti quasi-vocali di “Aham”…

Ahh… e ti piace quella parte lì, che sembra il canto di un castrato?

La prima volta che l’ho ascoltata mi ha commosso…

Son contento!

È l’insieme della parte musicale che hai scritto e l’effetto vocale che sei riuscito a ottenere che è pazzesco…

Sì, è molto espressivo. Infatti, era una delle cose che cercavo, volevo esprimermi di più, dare alla chitarra più espressione. Questo non funziona con tutte le cose e infatti gli altri due brani cantati li abbiamo cantati veramente. Lì funziona perché è un’aria da barocco napoletano, un italiano la sente subito quella cosa là, ma credo che anche all’estero abbia commosso molte persone, in America ad esempio. E infatti mi spingono farlo uscire come singolo, perché ha quella italianità… a Frank Gambale è piaciuto tantissimo…

Credo che sia per il carattere così diretto, qualcosa che emozionalmente non è affatto facile raggiungere, perché arriva dritto alla pancia…

Eh… ma quella è Napoli! Se tu analizzi la melodia, le progressioni di accordi, è molto napoletano. Se tu ci metti un testo napoletano e la canti o la fai cantare a qualcuno dei grandi vecchi… è una canzone napoletana. È molto, molto classica, l’avrebbe potuta cantare Pavarotti, sono quelle melodie lì…

Chissà se una voce vera riuscirebbe a raggiungere lo stesso livello emozionale di quello che hai suonato tu…

Ah, certo… perché poi la chitarra dà quella cosa un po’… a un certo punto sembra anche un androide, fuori dal mondo…

Ricorda quella scena del film Il quinto elemento dove canta l’aliena…

Sì, sì, bravo!

…con una voce che è e non è completamente umana. Comunque sia, anche quando passi a cantare con la tua vera voce in “The Guilty Thread” è una bella performance, ci hai messo anche lì tanta…

…passione.

Esatto. Stavo per dirlo.

Sì, grazie. A me piace cantare, anche se non mi reputo un cantante. Canto molto bene, ma essere un cantante non significa cantar bene, devi avere qualcosa… Però in quel brano lì, come ho fatto anche in passato, mi è piaciuto farlo perché dovevo dire delle cose, non mi piaceva solo strumentale, quindi ho deciso di cantarlo io e l’ho fatto usando l’Akai MG-1212 (mixer/recorder da 12 canali/12 tracce su nastro VHS introdotto da Akai negli anni ’80, ndr) e infatti si sente un po’ il rumore… volevo quel suono lì, che sporcasse la voce… sai, sono quelle fisime che vengono (ride) in sei anni di lavoro! (continua)

Leggi la recensione di Aham.